Francesco Baccaglini, responsabile Tax & Legal di Albacore Wealth Management spiega su MF – Milano Finanza del 12/12/2017 come i gestori patrimoniali svizzeri siano la soluzione ideale per la gestione degli asset dei neo residenti.

Qui sotto trovate il testo più completo.
Le ragioni che portano a scegliere un gestore svizzero sono molteplici e ben note. A queste se ne aggiungono alcune nuove, che riguardano specificatamente il regime italiano dei c.d. neo-residenti.
A partire dal 2017, le persone fisiche che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia possono optare per l’applicazione di una imposta annuale sostitutiva dell’IRPEF sui redditi provenienti dall’estero pari a € 100.000, oltre a € 25.000 per ogni famigliare (art. 24-bis TUIR). L’imposta prescinde dalla tipologia, qualificazione e quantificazione dei redditi esteri con la sola rilevante eccezione delle plusvalenze sulle partecipazioni qualificate (>2% o >20% dei diritti di voto o >5% o >25% del capitale a secondo che i titoli siano negoziati in mercati regolamentati o meno) realizzate nei cinque anni successivi al trasferimento della residenza. Inoltre, sono esentati (i) dal pagamento dell’IVAFE (Imposta sul Valore delle Attività Finanziarie all’Estero), (ii) dell’IVIE (Imposta sul Valore degli Immobili all’Estero), (iii) delle imposte di successione e donazione sui beni e diritti esteri (art. 1, c. 158, L. n. 232/2016) e (iv) dagli obblighi del monitoraggio fiscale, c.d. Quadro RW (art. 1, c. 153, L. n. 232/2016). I redditi di fonte italiana sono invece soggetti ai regimi impositivi ordinari.
Per poter accedere a questo regime occorre non essere stati fiscalmente residenti in Italia per nove dei dieci periodi di imposta precedenti all’esercizio dell’opzione. L’opzione non è preclusa ai cittadini italiani che, anzi, potrebbero essere fra i principali fruitori.
I vantaggi di una gestione patrimoniale estera
Una volta trasferiti in Italia, i soggetti neo-residenti possono avere interesse a dare un mandato di gestione a un intermediario italiano o a procedere con l’intestazione fiduciaria di attività estere per motivi di riservatezza.
A tal fine, occorre distinguere i vantaggi di una gestione effettuata all’estero, in particolare in Svizzera, rispetto a una gestione in Italia, nonché all’intestazione tramite una fiduciaria svizzera rispetto a una italiana.
In primo luogo, la normativa di riferimento citata (art. 1, c. 153, L. n. 232/2016) prevede l’esenzione dall’IVAFE, che è un’imposta analoga al bollo applicato nella misura del 2 per mille all’anno sul valore dei prodotti finanziari e libretti di risparmio detenuti all’estero dalle persone fisiche residenti in Italia (art. 19, c. 18, L. n. 201/2011). I conti correnti sono colpiti con un’imposta fissa pari a € 34,20, se la giacenza media supera gli € 5.000 nel corso dell’anno.
Come osservato da Assofiduciaria (cfr. le Comunicazioni FLAT TAX_COM_2017_111 del 7 giugno 2017 e FLAT TAX_COM_2017_067 del 5 aprile 2017), la normativa dispone l’esenzione dall’applicazione dell’IVAFE, ma non dall’imposta di bollo ordinaria, che si rende applicabile qualora le attività finanziarie estere siano intestate a una società fiduciaria italiana. Lo stesso principio vale anche per le attività detenute presso un intermediario finanziario italiano (banche, SIM). Infatti, nei chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 17/E del 23 maggio 2017 (§ 5.2) non vi è cenno alla possibilità di disapplicazione dell’imposta di bollo. La stessa Assofiduciaria consiglia alle proprie associate di continuare ad applicarla (Comunicazioni FLAT TAX_COM_2017_111, pg. 6).
Per quanto attiene ai redditi di fonte estera, si pone un’ulteriore criticità. Infatti, stando alla lettura a specchio dell’art. 23, c. 1, lett. f) TUIR, i redditi diversi, fra cui in particolare i capital gain, sono territorialmente rilevanti se derivano “da attività svolte nel territorio dello Stato e da beni che si trovano nel territorio dello stesso”. La circolare dell’AdE non chiarisce se l’intestazione tramite fiduciaria italiana o la detenzione presso un intermediario italiano attragga in Italia la fonte del reddito. Per coerenza sistematica, appare corretto sostenere che i redditi di fonte estera mantengano tale qualifica e siano pertanto assorbiti dall’imposta sostitutiva. Tale punto meriterebbe comunque un chiarimento da parte dell’Amministrazione finanziaria.
Pertanto, il neo-residente che volesse avvalersi di una gestione patrimoniale ed eventualmente procedere a una intestazione fiduciaria delle proprie attività finanziarie estere avrebbe tutta la convenienza ad avvalersi di un operatore estero, anziché di uno italiano. In tal modo eviterebbe certamente l’applicazione dell’imposta di bollo ed eviterebbe di correre rischi sulla qualifica della fonte (italiana o estera) dei redditi.
Sotto questo profilo la Svizzera risulta essere competitiva perché non applica ai soggetti non residenti imposte sulla detenzione di attività finanziarie, né alle intestazioni fiduciarie. E’ vero che vi è un’imposta di bollo nella misura generalmente dello 0,15% sulle transazioni finanziarie, ma le eccezioni alla sua applicazione sono numerose.
Inoltre, non vi è rischio che il portafoglio sia soggetto a imposta di successione in Svizzera in caso di decesso del titolare. Infatti, i casi di imposizione sulle successioni sono estremamente limitati atteso che il criterio territoriale è generalmente legato alla residenza in Svizzera del de cuius al momento della morte. E’ fatto salvo il caso di immobili o stabilimenti di impresa (stabili organizzazioni) localizzati in Svizzera. Infine, nessun cantone applica l’imposta in caso di successione in linea retta o fra coniugi.
La gestione estera permette anche di salvaguardare i neo-residenti da un importante incognita che pende sul regime, cioè la sua costituzionalità. Infatti, la dottrina ha in più occasioni sollevato perplessità sulla compatibilità di tale regime con il principio della capacità contributiva sancito dall’articolo 53 della Costituzione italiana.
Ora, qualora la normativa non passasse il vaglio di costituzionalità, tutte le agevolazioni decadrebbero con ogni probabilità con effetto ex tunc, cioè sin dall’entrata in vigore della norma.
Inoltre, da più parti si riscontra un interesse per tale regime, che è frenato da un certo scetticismo nei confronti dello Stato italiano e della sua amministrazione. Molti contribuenti ricordano ancora, ad esempio, l’improvvisa introduzione dell’imposta sulla segretazione delle attività scudate tramite decreto legge da parte del governo Monti appena insediato (art. 19, c. 6, L. n. 201/2011). Tale imposta pari all’1% nel 2012 (aumentata al 1.35% per il 2013 e 0.4% a regime) colpiva le attività regolarizzate tramite le varie edizioni degli scudi fiscali e ancora oggetto di segretazione.
In questi casi è evidente che, se le attività finanziarie (e patrimoniali come gli immobili) estere fossero detenute da intermediari italiani, sarebbe inevitabile per questi ultimi procedere a ricalcolare e prelevare le imposte secondo i regimi ordinari sin da quando i neo-residenti si sono trasferiti in Italia oppure a prelevare imposte che fossero eventualmente introdotte in futuro. I gestori esteri invece chiaramente non possono operare quali sostituti di imposta per il fisco italiano.
I vantaggi del gestore svizzero
Sotto questo frangente, passando alle ragioni che possono portare a scegliere più specificatamente un gestore svizzero, va sottolineato che ad oggi non esiste fra i due Paesi uno strumento giuridico per la riscossione delle imposte attesa la riserva che la Svizzera ha posto agli articoli 11 e 12 della Convenzione di Strasburgo (Convenzione del Consiglio d’Europa e dell’OCSE
sulla reciproca assistenza amministrativa in materia fiscale) in sede di recepimento (Decreto Federale del 18 dicembre 2015).
Una ulteriore ragione per preferire un gestore patrimoniale svizzero è legata alla lunga esperienza maturata con i clienti che si avvalgono del regime svizzero globalista, una delle principali fonti di ispirazione del regime italiano dei neo-residenti. In particolare, l’imposta sostitutiva italiana copre solo i redditi di fonte estera. Tutti i redditi di fonte italiana sono invece sempre tassati ordinariamente, senza possibilità di essere assorbiti dall’imposta sostitutiva. Un meccanismo per certi versi analogo è presente anche nel regime globalista, ai sensi del quale i redditi di fonte svizzera sono inseriti nella dichiarazione fiscale ed eventualmente tassati se portano a un superamento della base imponibile minima concordata con le autorità fiscali (attualmente CHF 400.000). I gestori svizzeri sono ben consci delle criticità che può comportare l’investimento diretto in titoli svizzeri e, di conseguenza, sanno come investire il portafoglio con titoli esteri, ad esempio tramite strutturati o ETF di diritto estero, ma il cui sottostante rappresenti investimenti svizzeri o comunque il loro andamento o i loro rendimenti. In tal modo è possibile mantenere lecitamente una esposizione ai titoli elvetici senza subire un aggravio di imposta. Mutatis mutandis, lo stesso approccio agli investimenti può essere applicato ai portafogli dei neo-residenti, che volessero investire in titoli italiani riducendo o annullando il carico fiscale, come pare avvallare l’Agenzia delle Entrate nella citata circolare, laddove conferma che la localizzazione della fonte del reddito segue il principio della lettura a specchio dell’articolo 23 TUIR, già utilizzato in tema di foreign tax credit di cui all’art. 165 TUIR. Di conseguenza, ad esempio, un fondo lussemburghese verrà considerato generare redditi esteri, nonostante il sottostante sia rappresentato in tutto o in parte da titoli italiani. In conclusione, la gestione patrimoniale svizzera permette ai neo-residenti di ridurre il carico fiscale sugli investimenti finanziari a livello di imposte sui redditi, patrimoniali e di successione e donazione, nonché di mantenere al contempo la protezione sul proprio patrimonio, anche nell’ipotesi in cui intervengano modifiche a tale regime. Ecco perché rappresenta la soluzione ideale per i neo-residenti.