Cinque cose che le grandi banche e i FO possono fare insieme

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*Di Elena Giordano

Le grandi banche che operano nel Wealth Management vedono spesso nei Family Office e nei Multi Family Office dei concorrenti mentre spesso, invece, non si rendono conto che con il loro posizionamento, il loro network e le loro competenze possono essere un buon partner per un Family Office.

UBS, ad esempio, considera il segmento dei Family Office ed gli MFO un’opportunità commerciale strategica. Famiglie con un patrimonio superiore a 150 milioni rappresentano la taglia ideale per la creazione di un Family Office, parliamo di strutture che sono in grado di implementare le gestioni patrimoniali, investimenti, il consolidamento fiscale, la governance la pianificazione della successione, ecc., nessun Family Office può fare tutto e la grande banca non può creare un FO taylor made.

Ecco cinque cose che le grandi banche possono fare insieme ai Family Office

  1. Trading. Le grandi banche spesso possono svolgere le funzione di un FO ma con un livello di accuratezza e taylorizzazione insufficiente per le grandi famiglie imprenditoriali ma, d’altro canto, hanno a disposizione piattaforme di trading molto efficienti pertanto anche se i clienti dei Family Office hanno un proprio CIO hanno comunque bisogno di una controparte forte per le negoziazioni
  2.  Investment Banking. Una cosa che sicuramente i Family Office non possono fare in maniera perfetta è la combinazione di gestione patrimoniale e investment banking. Banche come UBS hanno molte competenze e relazioni nell’ investment banking e pertanto sono un partner naturale dei FO.
  3. Conoscenza delle geografie. Le grandi banche con una presenza forte in tutte le geografie sono anche in grado di interpretare le forti differenze regionali nei bisogni dei FO mettendole  a fattor comune, se richieste, per una proposta consulenziale: i clienti europei spesso privilegiano la conservazione della ricchezza  e il trasferimento di beni attraverso le generazioni, l ‘Asia è meno avanzata in termini di sviluppo dei Family Office e spesso vi è una commistione fra beni familiari e aziendali, la Cina, invece, è un mercato in rapidissima crescita e le famiglie sono concentrate sviluppo della propria attività.
  4. Private Equity. Nelle allocazioni di portafoglio dei Family Office i portafogli di PE rappresentano il 20% delle allocazioni del portafoglio medio. Negli ultimi quattro anni gli investimenti in PE sono cresciuti e i rendimenti sono sempre stati rilevanti (noi stessi di Albacore abbiano avuto nei nostri portafogli di PE rendimenti attorno al 14% negli ultimi anni). Nell’ambito del Private Equity, l’attenzione si concentra sui fondi di venture capital e su investimenti diretti e coinvestimenti. C’è un grande interesse ma in realtà, trovare  gli affari non è facile e non mancano le richieste da parte delle famiglie di unire le forze con altri FO sugli investimenti in PE.  Le grandi banche possono fare tanto in questo ambito: database di aziende investibili, analisi, connessioni fra famiglie imprenditoriali  e FO appartenenti a geografie diverse.
  5. Analisi di scenario. Le grandi banche grazie ai loro database ed ai loro centri sono in grado di interpretare le tendenze di investimento e i bisogni dei nuovi dirigenti dei family office: uno degli argomenti sul tavolo nei Family Office moderni sono gli impact investments e la filantropia che sempre più saranno oggetto di interesse da parte dei Millennials. Sempre più costoro si avvicinano a governare le leve di investimento della famiglia perché, in fondo, il 70% dei FO prevede una transizione generazionale nei prossimi 10-15 anni.
*Partner Albacore Wealth Management

E’ il gestore patrimoniale svizzero il più adatto al regime italiano dei neo-residenti

Francesco Baccaglini, responsabile Tax & Legal di Albacore Wealth Management spiega su MF – Milano Finanza del 12/12/2017  come i gestori patrimoniali svizzeri siano la soluzione ideale per la gestione degli asset dei neo residenti.  

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Qui sotto trovate il testo più completo.

Le ragioni che portano a scegliere un gestore svizzero sono molteplici e ben note. A queste se ne aggiungono alcune nuove, che riguardano specificatamente il regime italiano dei c.d. neo-residenti.

A partire dal 2017, le persone fisiche che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia possono optare per l’applicazione di una imposta annuale sostitutiva dell’IRPEF sui redditi provenienti dall’estero pari a € 100.000, oltre a € 25.000 per ogni famigliare (art. 24-bis TUIR). L’imposta prescinde dalla tipologia, qualificazione e quantificazione dei redditi esteri con la sola rilevante eccezione delle plusvalenze sulle partecipazioni qualificate (>2% o >20% dei diritti di voto o >5% o >25% del capitale a secondo che i titoli siano negoziati in mercati regolamentati o meno) realizzate nei cinque anni successivi al trasferimento della residenza. Inoltre, sono esentati (i) dal pagamento dell’IVAFE (Imposta sul Valore delle Attività Finanziarie all’Estero), (ii) dell’IVIE (Imposta sul Valore degli Immobili all’Estero), (iii) delle imposte di successione e donazione sui beni e diritti esteri (art. 1, c. 158, L. n. 232/2016) e (iv) dagli obblighi del monitoraggio fiscale, c.d. Quadro RW (art. 1, c. 153, L. n. 232/2016). I redditi di fonte italiana sono invece soggetti ai regimi impositivi ordinari.

Per poter accedere a questo regime occorre non essere stati fiscalmente residenti in Italia per nove dei dieci periodi di imposta precedenti all’esercizio dell’opzione. L’opzione non è preclusa ai cittadini italiani che, anzi, potrebbero essere fra i principali fruitori.

I vantaggi di una gestione patrimoniale estera

 Una volta trasferiti in Italia, i soggetti neo-residenti possono avere interesse a dare un mandato di gestione a un intermediario italiano o a procedere con l’intestazione fiduciaria di attività estere per motivi di riservatezza.

A tal fine, occorre distinguere i vantaggi di una gestione effettuata all’estero, in particolare in Svizzera, rispetto a una gestione in Italia, nonché all’intestazione tramite una fiduciaria svizzera rispetto a una italiana.

In primo luogo, la normativa di riferimento citata (art. 1, c. 153, L. n. 232/2016) prevede l’esenzione dall’IVAFE, che è un’imposta analoga al bollo applicato nella misura del 2 per mille all’anno sul valore dei prodotti finanziari e libretti di risparmio detenuti all’estero dalle persone fisiche residenti in Italia (art. 19, c. 18, L. n. 201/2011). I conti correnti sono colpiti con un’imposta fissa pari a € 34,20, se la giacenza media supera gli € 5.000 nel corso dell’anno.

Come osservato da Assofiduciaria (cfr. le Comunicazioni FLAT TAX_COM_2017_111 del 7 giugno 2017 e FLAT TAX_COM_2017_067 del 5 aprile 2017), la normativa dispone l’esenzione dall’applicazione dell’IVAFE, ma non dall’imposta di bollo ordinaria, che si rende applicabile qualora le attività finanziarie estere siano intestate a una società fiduciaria italiana. Lo stesso principio vale anche per le attività detenute presso un intermediario finanziario italiano (banche, SIM). Infatti, nei chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 17/E del 23 maggio 2017 (§ 5.2) non vi è cenno alla possibilità di disapplicazione dell’imposta di bollo. La stessa Assofiduciaria consiglia alle proprie associate di continuare ad applicarla (Comunicazioni FLAT TAX_COM_2017_111, pg. 6).

Per quanto attiene ai redditi di fonte estera, si pone un’ulteriore criticità. Infatti, stando alla lettura a specchio dell’art. 23, c. 1, lett. f) TUIR, i redditi diversi, fra cui in particolare i capital gain, sono territorialmente rilevanti se derivano “da attività svolte nel territorio dello Stato e da beni che si trovano nel territorio dello stesso”. La circolare dell’AdE non chiarisce se l’intestazione tramite fiduciaria italiana o la detenzione presso un intermediario italiano attragga in Italia la fonte del reddito. Per coerenza sistematica, appare corretto sostenere che i redditi di fonte estera mantengano tale qualifica e siano pertanto assorbiti dall’imposta sostitutiva. Tale punto meriterebbe comunque un chiarimento da parte dell’Amministrazione finanziaria.

Pertanto, il neo-residente che volesse avvalersi di una gestione patrimoniale ed eventualmente procedere a una intestazione fiduciaria delle proprie attività finanziarie estere avrebbe tutta la convenienza ad avvalersi di un operatore estero, anziché di uno italiano. In tal modo eviterebbe certamente l’applicazione dell’imposta di bollo ed eviterebbe di correre rischi sulla qualifica della fonte (italiana o estera) dei redditi.

Sotto questo profilo la Svizzera risulta essere competitiva perché non applica ai soggetti non residenti imposte sulla detenzione di attività finanziarie, né alle intestazioni fiduciarie. E’ vero che vi è un’imposta di bollo nella misura generalmente dello 0,15% sulle transazioni finanziarie, ma le eccezioni alla sua applicazione sono numerose.

Inoltre, non vi è rischio che il portafoglio sia soggetto a imposta di successione in Svizzera in caso di decesso del titolare. Infatti, i casi di imposizione sulle successioni sono estremamente limitati atteso che il criterio territoriale è generalmente legato alla residenza in Svizzera del de cuius al momento della morte. E’ fatto salvo il caso di immobili o stabilimenti di impresa (stabili organizzazioni) localizzati in Svizzera. Infine, nessun cantone applica l’imposta in caso di successione in linea retta o fra coniugi.

La gestione estera permette anche di salvaguardare i neo-residenti da un importante incognita che pende sul regime, cioè la sua costituzionalità. Infatti, la dottrina ha in più occasioni sollevato perplessità sulla compatibilità di tale regime con il principio della capacità contributiva sancito dall’articolo 53 della Costituzione italiana.

Ora, qualora la normativa non passasse il vaglio di costituzionalità, tutte le agevolazioni decadrebbero con ogni probabilità con effetto ex tunc, cioè sin dall’entrata in vigore della norma.

Inoltre, da più parti si riscontra un interesse per tale regime, che è frenato da un certo scetticismo nei confronti dello Stato italiano e della sua amministrazione. Molti contribuenti ricordano ancora, ad esempio, l’improvvisa introduzione dell’imposta sulla segretazione delle attività scudate tramite decreto legge da parte del governo Monti appena insediato (art. 19, c. 6, L. n. 201/2011). Tale imposta pari all’1% nel 2012 (aumentata al 1.35% per il 2013 e 0.4% a regime) colpiva le attività regolarizzate tramite le varie edizioni degli scudi fiscali e ancora oggetto di segretazione.

In questi casi è evidente che, se le attività finanziarie (e patrimoniali come gli immobili) estere fossero detenute da intermediari italiani, sarebbe inevitabile per questi ultimi procedere a ricalcolare e prelevare le imposte secondo i regimi ordinari sin da quando i neo-residenti si sono trasferiti in Italia oppure a prelevare imposte che fossero eventualmente introdotte in futuro. I gestori esteri invece chiaramente non possono operare quali sostituti di imposta per il fisco italiano.

I vantaggi del gestore svizzero

Sotto questo frangente, passando alle ragioni che possono portare a scegliere più specificatamente un gestore svizzero, va sottolineato che ad oggi non esiste fra i due Paesi uno strumento giuridico per la riscossione delle imposte attesa la riserva che la Svizzera ha posto agli articoli 11 e 12 della Convenzione di Strasburgo (Convenzione del Consiglio d’Europa e dell’OCSE
sulla reciproca assistenza amministrativa in materia fiscale
) in sede di recepimento (Decreto Federale del 18 dicembre 2015).

Una ulteriore ragione per preferire un gestore patrimoniale svizzero è legata alla lunga esperienza maturata con i clienti che si avvalgono del regime svizzero globalista, una delle principali fonti di ispirazione del regime italiano dei neo-residenti. In particolare, l’imposta sostitutiva italiana copre solo i redditi di fonte estera. Tutti i redditi di fonte italiana sono invece sempre tassati ordinariamente, senza possibilità di essere assorbiti dall’imposta sostitutiva. Un meccanismo per certi versi analogo è presente anche nel regime globalista, ai sensi del quale i redditi di fonte svizzera sono inseriti nella dichiarazione fiscale ed eventualmente tassati se portano a un superamento della base imponibile minima concordata con le autorità fiscali (attualmente CHF 400.000). I gestori svizzeri sono ben consci delle criticità che può comportare l’investimento diretto in titoli svizzeri e, di conseguenza, sanno come investire il portafoglio con titoli esteri, ad esempio tramite strutturati o ETF di diritto estero, ma il cui sottostante rappresenti investimenti svizzeri o comunque il loro andamento o i loro rendimenti. In tal modo è possibile mantenere lecitamente una esposizione ai titoli elvetici senza subire un aggravio di imposta. Mutatis mutandis, lo stesso approccio agli investimenti può essere applicato ai portafogli dei neo-residenti, che volessero investire in titoli italiani riducendo o annullando il carico fiscale, come pare avvallare l’Agenzia delle Entrate nella citata circolare, laddove conferma che la localizzazione della fonte del reddito segue il principio della lettura a specchio dell’articolo 23 TUIR, già utilizzato in tema di foreign tax credit di cui all’art. 165 TUIR. Di conseguenza, ad esempio, un fondo lussemburghese verrà considerato generare redditi esteri, nonostante il sottostante sia rappresentato in tutto o in parte da titoli italiani. In conclusione, la gestione patrimoniale svizzera permette ai neo-residenti di ridurre il carico fiscale sugli investimenti finanziari a livello di imposte sui redditi, patrimoniali e di successione e donazione, nonché di mantenere al contempo la protezione sul proprio patrimonio, anche nell’ipotesi in cui intervengano modifiche a tale regime. Ecco perché rappresenta la soluzione ideale per i neo-residenti.

Perché conviene essere illiquidi

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Molti operatori del Private Banking hanno sviluppato  linee di consulenza  dedicate al Private Equity, ciò consente ai loro clienti di partecipare al finanziamento delle imprese o di investire in fondi chiusi che investono nel capitale delle imprese.

Ma è ovviamente sui rendimenti  offerti ad un cliente di un family office o di una private bank si gioca la partita. Il basso tasso di rendimento delle obbligazioni ha spostato molta liquidità sui cosiddetti asset illiquidi come appunto fondi di PE, fondi di fondi o addirittura su finanziamenti diretti alle  imprese. Roberto Tronci in questo articolo di Milano Finanza sostiene che i portafogli illiquidi sui quali ha investito Albacore fin dal 2016 hanno generato un rendimento del 14,7 mentre l’obiettivo del 2017 è sempre sfidante: si colloca in un intervallo fra il  12% ed  14% .

IL WM in Italia e qualche considerazione

*Di Francesco Fabiani

nsfg5sjyzgq-tim-gouwLa crisi economica, una certa vocazione del nostro capitalismo al chiudersi in cerchie relazionali che tendono sfaldarsi  ed un’ assenza di visione su quelli che sono i trend del futuro  ha portato molte famiglie imprenditoriali ad interrogasi sul proprio futuro. Alcune resistono, altre hanno venduto le aziende (veri e propri gioielli) altre ancora sono in preda a lotte intestine fra gli eredi che prima di capire se vendere la loro parte guerreggiano per assumere il controllo delle imprese.

L’Italia è il secondo paese risparmiatore al mondo. Ma da sempre non trasforma sul risparmio in investimenti ed è bancocentrica (anche se questo aspetto i recenti scandali hanno dato un colpo durissimo alla reputazione di certe banche).

Ho fatto incontrato di recente Massimo Gaia di Reuters che ha realizzato una interessante  analisi sul mondo del Wealth Management in Italia e Qui trovate anche la seconda parte.

Emerge in un mondo in cui le  “vecchie” asset class non garantiscono più i rendimenti di una volta, un desiderio di asset class alternative in grado di garantire ottimi rendimenti ma, per la prima volta, le famiglie che le ricercano  guardano anche al lato sociale della cosa. Parliamo di investimenti in grado lasciare tracce tangibili sul territorio dove vengono effettuati e, perché no, di investimenti che possano generare nuove tipologie di imprese che aiutino gli eredi di famiglie imprenditoriali di impostazione  novecentesca a reinventarsi, a diventare new entrepeneurs. Parliamo di operazioni di impact investing.

In questo quadro il ruolo dei Family Office è quello di consigliare i clienti sulle migliori asset allocation (noi ad esempio abbiamo un track record di operazioni in P/E concluse con ottime soddisfazioni per i nostri sottoscrittori) ma è anche quello di aiutare le famiglie a reperire operazioni di impact investing che, dati i rendimenti attuali delle asset class tradizionali, sono sicuramente più redditizie.In più occorre fare i conti con gli eredi”millennials” delle famiglie imprenditoriali perché non è detto che questi vogliano fare gli eredi e trasformarsi  in rentier. Ma quando prendono in mano le sorti della famiglia impendtoriale ne trasformano le attività con un’ impronta più sociale .

*Founder & CEO di Albacore

 

 

A Saturnia per il futuro dei Family Office

 

mondo2Dal 5 al 7 ottobre il CEO di Albacore, Francesco Fabiani sarà ospite del Family Office Forum 2016 alle terme di Saturnia. Si tratta della seconda edizione di una due giorni di riflessione sul mondo dei Family Office e del Wealth Management organizzata da Mondo Institutional. Moderati Da Marco Liera, già caporedattore de Il Sole 24 Ore e fondatore di Youinvest i panelist si confronteranno, fra l’altro,  sulle prospettive per il 2017 per il family business aiutati anche dalla ricerca del CERIF, Centro di Ricerca sulle Imprese Familiari dell’Università Cattolica  coordinato da Claudio de Vecchi. Fra i temi affrontati, fra gli altri, c’ è quello degli NPL oggetto dell’interesse di grandi operatori stranieri  e asset class a sé stante. Sarà Alessandra Manuli CEO di Hedge Invest SGR a spiegare l’approccio  di un Family Office agli investimenti in NPL.  Francesco Fabiani interverrà nel panel del 6 ottobre sempre coordinato da Marco Liera. Si tratta del panel  sulla investment strategy e le diversificazione dei family office.
Insieme a Fabiani interverranno:

  • Lorenzo Loro, il responsabile del Family Office della Famiglia Lunelli
  • Luca Rancilio fondatore di Rancilio Cube
  • Michele Befacchia co-Ceo di Prader Inversiones

L’intervento di Francesco Fabiani sarà focalizzato su come Albacore affronta per i suoi clienti gli investimenti immobiliari e su come sono solitamente  la strutturati i patrimoni delle famiglie imprenditoriali.

Cinque modelli per gestire un Family Business

familyUno dei temi delle imprese familiari siano esse grandi o piccole è il sistema di governo dell’azienda nel caso che essa passi di mano dal fondatore/i agli eredi. In Italia, poi,  il Paese dove il capitalismo familiare è  molto diffuso si trovano tanti esempi di imprese fondate e governate da famiglie.  Alcune sono in vendita come Esselunga e tante altre proprio per il sostanziale fallimento dei sistemi di governo familiare sono state vendute.Il governo dell’impresa si riflette, ovviamente, sul governo del patrimonio dell’imprenditore e dei suoi eredi. Nella nostra esperienza vediamo spesso che manca nelle famiglie  imprenditoriali una visione di quali sono le alternative che si hanno per gestire un family business e spesso la non presa di coscienza di tutto questo porta a inefficienze manageriali. Esistono alcuni modelli di gestione del family business e, sebbene vi siano degli ibridi, i modelli dei gestione del Family Business sono  secondo questo articolo della Harvard Business Review cinque:

  • Owned/Operator
  • Partnership
  • Distributed
  • Nested
  • Public

Si può passare da un modello all’altro ma è importante definirli perché la loro adozione impatta spesso anche sulle ricchezze personali (che ricordiamolo comprendono anche ma non solo l’azienda) dei membri della famiglia imprenditoriale.

L’evoluzione della filantropia

charityAndrew Carnegie diceva che dopo aver passato la prima parte della propria vita a studiare e la seconda a fare soldi la terza doveva essere dedicata a restituire al prossimo quanto si la vita stessa ci ha dato.
Questo orientamento ha governato molte azioni filantropiche che i più abbienti hanno svolto a favore della collettività ma ora si è fatto un passo avanti: lo sviluppo del business e di conseguenza l’accumulazione possono essere al servizio di due attività che fino a pochi anni fa sembravano in conflitto: investimento e filantropia il tutto per perseguire un solo obiettivo: cambiare il mondo.
Ora la parola d’ordine dei nuovi filantropi come  Pierre Omydiar (fondatore di Ebay) o Mark Zuckerberg, creatore di Facebook sembra essere i impact investing e cioè sviluppare attività di investimento in settori dove si possa ottenere un profitto ma che portino benefici sensibili alla popolazione.
Per esempio Zuckenberg sta lanciando un programma che prevede il posizionamento di   satelliti sull’atmosfera in corrispondenza del continente africano in maniera tale che le popolazioni possano accedere ad Internet (anche a Facebook of course). Si tratta di un investimento che avrà ritorni per il social network ma anche di una grande occasione per quelle popolazioni di accedere alla conoscenza, cosa finora a loro preclusa.
Insomma ci sono aziende e imprenditori che investono per fare profitti e per cambiare il mondo ed altre invece che creano aziende aderendo a rigorosi standard etici stabiliti da organizzazioni come B coporations .

Secondo Richard Branson le opportunità per unire il potere dei mercati con gli investimenti nel sociale sono enormi specialmente per coloro che credono in queste idee che circolano liberamente attraverso la Rete. Modelli di business che mettono charity e profitto al centro e con eguale peso hanno grandi possibilità di crescita.

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L’industria svizzera del wealth management è vitale  come sempre

Pubblichiamo il testo dell’articolo del CEO di Albacore, Francesco Fabiani, apparso oggi nella sezione commenti & analisi di MF- Milano Finanza

Nel 2014 la Svizzera ha aderito al CRS (common reporting standard) e, pertanto, scambierà automaticamente dati bancari con 97 Stati (tra i quali tutti i membri della UE e quelli OCSE, salvo gli USA). Dalla storica decisione del 13 marzo 2009, la Svizzera ha modificato importanti Convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni (compresa quella con l’Italia) per consentire lo scambio di informazioni finanziarie. In questo contesto è interessante rilevare che la Svizzera non ha perso la sua attrattivita: nel 2015, infatti, si è registrato un incremento dei patrimoni depositati in Svizzera (fonte: rapporto Roland Berger), la quale si conferma quale prima piazza mondiale nel Wealth management.
Per i residenti in Italia l’abbandono del segreto bancario ha aumentato l’attrattività della piazza finanziaria svizzera: oggi è infatti possibile aprire una relazione bancaria a Lugano, Zurigo o Ginevra senza essere assoggettati a monitoraggio speciale o senza assumere la connotazione di evasore fiscale. Non esiste più nessuna differenza (in termini di adempimenti e comunicazioni) tra avere un conto in Svizzera, piuttosto che in Germania o in Olanda.
Per residenti in Italia quindi i vantaggi del detenere una parte più o meno rilevante dei propri risparmi in Svizzera sono principalmente tre:
Il primo è la riservatezza. In Italia, infatti, la norma e la prassi giurisprudenziale ha ampliato il numero dei soggetti terzi che possono accedere alle informazioni bancarie, anche in assenza di un procedimento giudiziale o di un accertamento fiscale. In sostanza, terzi interessati (per esempio: creditori, ex-coniuge, eredi legittimari) possono conoscere con relativa facilità e rapidità l’esatta consistenza dell’intero patrimonio di un soggetto residente, ricorrendo alle informazioni contenute nell’Anagrafe Tributaria e quella dei rapporti finanziari. In particolare, nell’anagrafe dei rapporti finanziari affluiscono tutti i dati sui rapporti e movimenti finanziari dei contribuenti (entrate, uscite, redditi, spese, accessi alla casetta di sicurezza, rapporti fiduciari, etc). I patrimoni depositati su conti Svizzeri, invece, pur essendo dichiarati ai fini fiscali, non confluiscono nell’anagrafe dei rapporti finanziari. La consistenza dei conti esteri alla fine di ogni anno, nonché la somma algebrica del totale dei prelievi e delle entrate, viene dichiarata autonomamente dal contribuente una volta all’anno, con la presentazione della dichiarazione fiscale personale a settembre dell’anno successivo. I dettagli sui movimenti e sugli impieghi, quindi, non sono visibili ai terzi se non nell’ambito di una procedura di scambio di informazioni internazionale opportunamente motivata ed accettata dalle autorità svizzere. Alla riservatezza si aggiunge la segregazione. In Italia, per esempio, una volta identificata la localizzazione e la consistenza delle attività finanziarie di una persona è possibile per terzi interessati ottenere con facilità misure cautelari e conservative d’urgenza (in seguito, per esempio ad azioni di responsabilità, vicende divorzili, controversie con creditori, etc). Al contrario, per ottenere un provvedimento di sequestro preventivo o conservativo su conti in Svizzera è richiesto l’avvio di una procedura cross-border che prevede – ai fini dell’esecuzione – l’autorizzazione del pretore svizzero (il quale vaglierà il merito della richiesta alla luce della normativa svizzera. Ne consegue che solo istanze opportunamente motivate verranno accolte). Il terzo è la sicurezza degli operatori bancari che è sempre stata uno dei valori fondanti dell’attività di gestione patrimoniale in Svizzera, la maggior parte delle banche Svizzere infatti sono altamente patrimonializzate ed hanno bassi rischi dal lato degli impieghi. Salvo UBS e CS, le altre banche non hanno una significativa attività dei investment banking, e tradizionalmente non effettuano attività di finanziamento a imprese o persone fisiche. L’attività principale di wealth management, infatti, si incentra sulla custodia e la gestione di patrimoni privati ed, inoltre, le norme Svizzere in tema di bail-in sono più tutelanti per i clienti rispetto a quelle italiane. A tutto questo si aggiunge il basso rischio Paese (proverbiale solidità finanziaria della Confederazione e dei Cantoni), stabilità politica e efficienza del sistema giudiziario. Per ultimo l’efficienza nella gestione di portafoglio che le piattaforme di wealth management ed i servizi di custodia/esecuzione offerti da banche svizzere hanno saputo garantire in maniera più efficiente di quella delle banche italiane. E’ vero che i costi delle banche elvetiche sono, in media, più elevati di quelli delle banche italiane, ma la scelta di prodotti finanziari è molto più ampia

Il gender gap è anche nel Wealth Management

womenDa tanto tempo si parla di divario nei compensi fra uomini e donne. Il divario esiste ed è certificato  dalle cifre in tutti i settori  e non fa eccezione il mondo dello spettacolo  (date una occhiata a Forbes)  e ovviamente le aziende e le banche.

Il nostro settore purtroppo si allinea alla tendenza  (non di certo noi di Albacore:  quasi la metà delle persone che vi lavora da noi sono donne) ed il gender gap non è solo sulle professioni ma anche, per esempio,sui clienti dei wealth manager (pochi si rendono conto che le donne aumentano) .

Le donne tendono ad essere maggiormente attente e scrupolose come clienti, una ricerca di Scorpio Partnership mostra che le clienti donne hanno maggiore capacità di delega al proprio wealth manager e tendono a dare in gestione ad loro wealth manager primario una quota maggiore dei propri investimenti.

Alcune banche o divisioni di WM hanno capito il potenziale ed allora costruiscono iniziative di marketing e fidelizzazzione per sviluppare l’imprenditoria al femminile come nel caso di HSBC che  cerca di aumentare la reach su un numero maggiore di clienti al femminile.

La crescita dei milionari in Asia

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Qualche settimana fa  Newsweek ha parlato della crescita delle persone facoltose in Asia che oramai ha 3 milioni di milionari (26% in più dello scorso anno) ed ha superato Europa e si accinge a farlo con l’America.  I segnali del resto erano tanti ma uno su tutti fa riflettere: in Cina sono stati spesi nel 2009 anno 830 milioni in opere d’arte.Le grandi banche, intanto, si attrezzano e sopratutto le loro divisioni Wealth Management. JP Morgan Chase ha spostato da New York  ad Hong Kong il suo capo del Wealth Management mentre Deutsche Bank ha assunto 12 bankers da CITI e da Credit Suisse e ci ha tenuto a comunicarlo all’esterno…

Qui sotto le proiezioni dell World Wealth Report di Cap Gemini parlano chiaro: la region Asia Pacific crescerà molto di più delle altre entro il  2025.

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