Qualche domanda da farsi prima di inserire i familiari nel family business

 

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Di Francesco Fabiani*

Alcuni membri delle famiglie imprenditoriali iniziano a lavorare nelle aziende di famiglia quando sono ancora a scuola. Spesso si inizia con un lavoro estivo, altre volte dai livelli più bassi con un lavoro vero. In altri casi si inizia a lavorare al compimento dei 18 anni o dopo l’università. Altri ancora preferiscono fare esperienza fuori dalle aziende di famiglia e poi rientrare in azienda una volta acquisite le competenze.

La cosa più importante  che le famiglie imprenditoriali possono fare una volta che decidono di impiegare i loro membri nelle aziende è stabilire gli obiettivi da assegnare ai “nuovi assunti”, capire quali sono i piani di sviluppo dell’azienda e il ruolo dei familiari dentro l’azienda stessa. Perché una cosa è certa: l’Italia è la patria delle aziende familiari e la nostra storia è piena di innesti dall’interno delle famiglie che non sempre sono stati i più opportuni.  Acquisire competenze ed esperienze al di fuori dell’azienda familiare può portare una prospettiva fresca e rigenerante a un’azienda con un business consolidato. Può anche dare credibilità al membro della famiglia all’interno della famiglia stessa e, ovviamente, all’interno dell’azienda.  Alcune famiglie scelgono un’altra strada: incoraggiano i loro membri a stabilire le proprie attività che, se hanno successo, possono essere trasferite nell’azienda di famiglia.D’altra parte, nuove prospettive possono portare a grandi cambiamenti.

 C’è anche una domanda ricorrente:  quale ruolo un membro della famiglia dovrebbe prendere quando si unisce al business? Verrà creato un ruolo per ogni membro che entrerà in azienda o dovranno aspettare fino a quando una posizione adeguata non si libera? A queste domande non c’è mai una risposta univoca ma è importante valutare attentamente cosa è meglio  per l’azienda e per la famiglia quando si porta a bordo un nuovo membro.  Una volta che un membro della famiglia si è unito al business, è importante valutare come, grazie al suo apporto,  l’azienda potrà progredire. Molte famiglie progettano programmi di formazione rapidi per le prossime generazioni  mentre altre contano solo sull’esperienza che i nuovi entranti acquisiscono all’esterno. Un piano di ingresso di familiari in azienda passa anche per questo: formazione “in house” per i prossimi entranti o formazione all’esterno. Una delle potenziali implicazioni dell’ ingresso di nuovi dipendenti familiari dentro l’azienda è la reazione dei dipendenti: accetteranno tutto questo oppure storceranno il naso? Personalmente mi è capitato di sentire parlare ad un convegno  il figlio, CEO,  del fondatore di una grandissima azienda di servizi finanziari:  di fronte a tutti ha detto chiaro che la sua maggiore preoccupazione sono i suoi dipendenti e la considerazione che loro hanno di lui. Riporto le sue parole: “So benissimo di essere il figlio del padrone e so benissimo di poter essere percepito come un figlio di papà, nella nostra azienda ci sono tanti manager competenti nominati da mio padre che hanno con lui un rapporto quasi filiale io mi rapporto con loro ascoltandoli sempre e, soprattutto, non negando mai un appuntamento”.

Un altro tema che sta alla base dell’ingresso dei membri della famiglia nel team aziendale è la remunerazione: è fondamentale definire chiaramente quali membri della famiglia sono pagati e per cosa sono pagati. Tutto ciò è particolarmente rilevante quando c’è più di un membro della famiglia che lavora nel business, spesso può esserci la tentazione di discriminarlo in modo positivo o negativo. Il pensiero dietro il vecchio adagio “un giorno questo sarà tutto tuo” potrebbe diminuire, nel breve termine, gli stipendi per i parenti. D’altro canto molte aziende possono pagare ai familiari più delle loro controparti non familiari come un modo per incentivarli a entrare nel business.

 In conclusione la cosa più importante che si può fare quando si impiegano i membri della famiglia è essere chiari: essere chiari su cosa si aspetta che essi facciano ed ssere chiari su quanto saranno pagati. E importante anche aprire una discussione in famiglia sulla direzione che prenderà  l’azienda  con l’assunzione dei familiari. Tutti questi aspetti  sono spesso trascritti in una “costituzione di famiglia” o in uno statuto di famiglia e si affiancheranno ad altri caposaldi come proprietà, leadership, governance, ricchezza e filantropia.

*CEO Albacore Wealth Management

Pochi gli effetti fiscali sulle aziende italiane dallo stop alla riforma delle imprese svizzere

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1 marzo 2017. Oggi MF ha pubblicato un articolo a firma di Francesco Fabiani e Francesco Baccaglini sul referendum che qualche giorno fasi è tenuto in Svizzera sulla Riforma delle Imprese III. Ecco il testo dell’articolo.

Il 12 febbraio si è tenuto in Svizzera il referendum sulla Riforma delle Imprese III, la quale era incentrata su tre pilastri portanti: (1) l’abolizione dei regimi fiscali privilegiati concessi a determinate società (ausiliarie, di amministrazione e holding), (2) l’introduzione di nuovi regimi fiscali cantonali volti a incentivare l’attività di R&D (Patent box e super ammortamento di impianto BEPS) e (3) la riduzione delle aliquote cantonali sulla tassazione degli utili.

Il referendum è stato respinto dalla maggioranza della popolazione e dei cantoni con risultati molto diversi fra i cantoni. A livello federale ha votato contro il 59.1% ma il panorama a livello cantonale è stato invece molto variegato con quattro cantoni che hanno votato a favore fra cui il Ticino (oltre Zugo, Vaud e Nidvaldo), dove la percentuale dei favorevoli si è attestata al 51.2%.

Il risultato del referendum riflette la difficoltà di coniugare i tre principali obiettivi della Riforma, i quali sono in apparente antitesi fra loro:

  • abolire i regimi fiscali privilegiati invisi alla UE e all’OCSE;
  • restare fiscalmente attrattivi;
  • mantenere un gettito di imposta in linea con quello attuale.

Paradossalmente ciò che ha portato alla bocciatura della riforma non è stata l’abolizione dei regimi speciali, visti come i principali strumenti di attrattività fiscale per le imprese estere, ma la riduzione dell’imposizione delle società a livello cantonale con la conseguente diminuzione del gettito e quindi, potenzialmente, del welfare.

L’ impatto dello slittamento della riforma sui rapporti Svizzera –Italia

 

Se si guarda ai rapporti fiscali fra Svizzera e Italia ci accorgiamo che uno slittamento della Riforma non ha un impatto significativo, grazie al mutato contesto normativo italiano ed alla normalizzazione dei rapporti tra i due Stati (in seguito all’abolizione del segreto bancario e all’adesione da parte della Svizzera al sistema di scambio automatico di informazioni). Infatti il maggior timore per le imprese svizzere è quello di finire nelle black list.

Le black list Italiane

Il panorama delle black list italiane è piuttosto frastagliato. La normativa CFC (Controlled Foreign Companies) contenuta nell’articolo 167 TUIR, cioè la tassazione per trasparenza degli utili delle società estere controllate in capo ai soci italiani (persone fisiche o giuridiche) a seguito delle modifiche introdotte con il Decreto internazionalizzazione (D.Lgs. n. 147 del 14 settembre 2015) e dalla Legge di stabilità 2016 (Legge n. 208 del 28 dicembre 2015, art. 1, c. 142) a partire dal 2016 non fa più riferimento alla black list di cui al D.M. 21 novembre 2001. Inoltre la c.d. “piccola CFC”, cioè la tassazione per trasparenza degli utili delle società collegate, è stata abrogata (ex art. 168 TUIR).

Rientrano invece nell’ambito di applicazione della CFC le società con sede al di fuori di UE o SEE che hanno un livello di tassazione nominale inferiore al 50% di quello italiano (art. 167, c. 4 TUIR).

Le società svizzere – sia quelle ordinarie, ma anche quelle che beneficiano di un regime fiscale privilegiato – probabilmente non rientrano in questa categoria. Infatti, la norma si riferisce al livello nominale di tassazione, quindi non tiene conto dell’effetto della deducibilità delle imposte dal reddito, tipico del sistema fiscale svizzero. In altre parole conta la somma delle aliquote di imposta, che al momento sono fissate al 8.5% a livello federale e al 9% a livello cantonale (Ticino) a cui vanno aggiunte le imposte comunali. Questo dato va raffrontato con la tassazione IRES delle società italiane che a partire dal 2017 si attesta al 24%. Di conseguenza, il tax rate nominale svizzero è ampiamente superiore al 12% (24%/2). Anche stimando ad esempio una riduzione dell’aliquota cantonale ticinese al 6% post Riforma (tutte le aliquote proposte dai cantoni andranno riviste alla luce della bocciatura del referendum), il tax rate nominale sarebbe comunque superiore al 12%. In tale contesto, il tax rate effettivo applicabile in Svizzera alle società a tassazione ordinaria (nell’ordine del 19.6% per il Ticino, che verrà probabilmente ridotto al 16% circa) non ha rilevanza ai fini dell’applicazione della disciplina CFC.

Rientrano poi nella CFC anche le società che a prescindere da dove è collocata la sede soddisfino congiuntamente due condizioni: (i) la maggior parte dei proventi sono costituiti da passive income e (ii) il tax rate effettivo è inferiore al 50% di quello italiano. Sono quindi anzitutto escluse dall’ambito di applicazione le società che non producono passive income. Anche in questo caso, l’abbassamento dell’aliquota IRES al 24% porta a escludere dalla CFC tutte le società che producono passive income senza regimi speciali e probabilmente anche un gran numero di società che pur godendo di un regime speciale si attestano comunque sopra al 12%.

La nuova normativa sui dividendi

E’ importante segnalare un importante riflesso legato alla nuova normativa CFC per quanto riguarda le persone fisiche residenti in Italia che hanno partecipazioni in società svizzere. Di regola, i dividendi da partecipazioni qualificate (>20%) sono soggetti ad IRPEF, ma godono dello sgravio del 50.28% (49.72% imponibile da rivedere a seguito della riduzione dell’aliquota IRES dal 27.5% al 24%), mentre i dividendi da partecipazioni non qualificate sono soggetti ad imposta del 26%. Qualora invece i dividendi (a prescindere dalla qualificazione della partecipazione) provengano da società che ricadono nella disciplina CFC, concorrono integralmente alla formazione del reddito imponibile, cioè sono soggetti ad IRPEF progressiva sull’intero ammontare. Va osservato che il richiamo è alla CFC di cui all’articolo 167, c. 4 TUIR, cioè quella basata sull’aliquota nominale, non effettiva (art. 167, c. 8-bis TUIR).

Assistiamo infine al progressivo inserimento della Svizzera nelle white list basate sull’effettivo scambio di informazioni. Già nell’agosto 2016 la Svizzera è stata inserita nella lista dei Paesi white list (D.M. 4 settembre 1996) verso i quali non si applicano le ritenute sugli interessi pagati dai grandi emittenti (D.Lgs. 239/1996).

Pensiamo che un nuovo testo di riforma delle imprese III modificato verrà proposto sulla falsariga di quello appena bocciato. Ma nel frattempo i rapporti fra Italia e Svizzera sono comunque destinati a normalizzarsi a seguito dell’introduzione dello scambio di informazioni sia a livello convenzionale, che automatico (a partire dal 2018 con dati 2017) e del nuovo quadro normativo italiano sopra descritto.

Cinque modelli per gestire un Family Business

familyUno dei temi delle imprese familiari siano esse grandi o piccole è il sistema di governo dell’azienda nel caso che essa passi di mano dal fondatore/i agli eredi. In Italia, poi,  il Paese dove il capitalismo familiare è  molto diffuso si trovano tanti esempi di imprese fondate e governate da famiglie.  Alcune sono in vendita come Esselunga e tante altre proprio per il sostanziale fallimento dei sistemi di governo familiare sono state vendute.Il governo dell’impresa si riflette, ovviamente, sul governo del patrimonio dell’imprenditore e dei suoi eredi. Nella nostra esperienza vediamo spesso che manca nelle famiglie  imprenditoriali una visione di quali sono le alternative che si hanno per gestire un family business e spesso la non presa di coscienza di tutto questo porta a inefficienze manageriali. Esistono alcuni modelli di gestione del family business e, sebbene vi siano degli ibridi, i modelli dei gestione del Family Business sono  secondo questo articolo della Harvard Business Review cinque:

  • Owned/Operator
  • Partnership
  • Distributed
  • Nested
  • Public

Si può passare da un modello all’altro ma è importante definirli perché la loro adozione impatta spesso anche sulle ricchezze personali (che ricordiamolo comprendono anche ma non solo l’azienda) dei membri della famiglia imprenditoriale.