La scelta di Blackrock

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di Roberto Tronci*

Qualche giorno fa è stato annunciato  che Blackrock  ha in programma di  lanciare un fondo da 10 miliardi di dollari   dedicato agli investimenti di lungo periodo in aziende non quotate. Tutto ciò per diventare un azionista di più lungo periodo, oltre i 10 anni.

A prima vista, potrebbe sembrare incongruente dato che l’asset manager statunitense che è noto per le sue strategie di mercato liquide passive, a basso costo, passi all’estremo opposto.

Tuttavia Blackrock già gestisce asset per oltre $ 145 billion  compresi fondi di private equity e fondi hedge, credito privato e attività reali.

In Italia ad esempio il gigante USA è azionista da tempo di UniCredit ma anche di società non quotate come Linkem (connettività Internet) nelle quali vede un gran potenziale avendola valutata circa 700 milioni di euro oppure ha sottoscritto bond di società di nicchia come SIT La Precisa spa, gruppo padovano leader mondiale nella produzione di valvole di sicurezza per i bruciatori a gas e di sistemi integrati per caldaie e cappe. La decisione di Blackrock ha stupito i più, ma nella realtà il colosso dell’asset management Usa non sta facendo altro che istituzionalizzare  una pratica sinora condotta su base opportunistica e non strutturata in un fondo specifico.

Gli investimenti con un ottica di lungo periodo  diventeranno sempre più attraenti. La raccolta di fondi può essere onerosa ma, in ultima analisi, serve all’industria come un efficiente processo di selezione e allocazione di capitale. Tuttavia, man mano che le industrie maturano e diventano più globali gli investitori richiedono diverse scelte strategiche. Nel mercato ultra-competitivo, gli investimenti di lungo periodo nelle  aziende diventano sempre più preziosi non solo nel fornire liquidità per il prosieguo dell’attività ma anche per consentire alle imprese di investire dim più,  entrare in nuovi mercati e sfruttare le nuove tecnologie. Dal lato di un wealth manager come noi gli investimenti di lungo periodo nelle  aziende oltre che accompagnarle nella crescita consentono alle nostre famiglie clienti che vi investono di far raccogliere i frutti  anche ai discendenti. Il nostro track record di investimenti diretti in azienda, in fondi di PE o in fondi di fondi di PE è a due cifre.

*CIO e Partner di Albacore Wealth Managament

E’ il gestore patrimoniale svizzero il più adatto al regime italiano dei neo-residenti

Francesco Baccaglini, responsabile Tax & Legal di Albacore Wealth Management spiega su MF – Milano Finanza del 12/12/2017  come i gestori patrimoniali svizzeri siano la soluzione ideale per la gestione degli asset dei neo residenti.  

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Qui sotto trovate il testo più completo.

Le ragioni che portano a scegliere un gestore svizzero sono molteplici e ben note. A queste se ne aggiungono alcune nuove, che riguardano specificatamente il regime italiano dei c.d. neo-residenti.

A partire dal 2017, le persone fisiche che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia possono optare per l’applicazione di una imposta annuale sostitutiva dell’IRPEF sui redditi provenienti dall’estero pari a € 100.000, oltre a € 25.000 per ogni famigliare (art. 24-bis TUIR). L’imposta prescinde dalla tipologia, qualificazione e quantificazione dei redditi esteri con la sola rilevante eccezione delle plusvalenze sulle partecipazioni qualificate (>2% o >20% dei diritti di voto o >5% o >25% del capitale a secondo che i titoli siano negoziati in mercati regolamentati o meno) realizzate nei cinque anni successivi al trasferimento della residenza. Inoltre, sono esentati (i) dal pagamento dell’IVAFE (Imposta sul Valore delle Attività Finanziarie all’Estero), (ii) dell’IVIE (Imposta sul Valore degli Immobili all’Estero), (iii) delle imposte di successione e donazione sui beni e diritti esteri (art. 1, c. 158, L. n. 232/2016) e (iv) dagli obblighi del monitoraggio fiscale, c.d. Quadro RW (art. 1, c. 153, L. n. 232/2016). I redditi di fonte italiana sono invece soggetti ai regimi impositivi ordinari.

Per poter accedere a questo regime occorre non essere stati fiscalmente residenti in Italia per nove dei dieci periodi di imposta precedenti all’esercizio dell’opzione. L’opzione non è preclusa ai cittadini italiani che, anzi, potrebbero essere fra i principali fruitori.

I vantaggi di una gestione patrimoniale estera

 Una volta trasferiti in Italia, i soggetti neo-residenti possono avere interesse a dare un mandato di gestione a un intermediario italiano o a procedere con l’intestazione fiduciaria di attività estere per motivi di riservatezza.

A tal fine, occorre distinguere i vantaggi di una gestione effettuata all’estero, in particolare in Svizzera, rispetto a una gestione in Italia, nonché all’intestazione tramite una fiduciaria svizzera rispetto a una italiana.

In primo luogo, la normativa di riferimento citata (art. 1, c. 153, L. n. 232/2016) prevede l’esenzione dall’IVAFE, che è un’imposta analoga al bollo applicato nella misura del 2 per mille all’anno sul valore dei prodotti finanziari e libretti di risparmio detenuti all’estero dalle persone fisiche residenti in Italia (art. 19, c. 18, L. n. 201/2011). I conti correnti sono colpiti con un’imposta fissa pari a € 34,20, se la giacenza media supera gli € 5.000 nel corso dell’anno.

Come osservato da Assofiduciaria (cfr. le Comunicazioni FLAT TAX_COM_2017_111 del 7 giugno 2017 e FLAT TAX_COM_2017_067 del 5 aprile 2017), la normativa dispone l’esenzione dall’applicazione dell’IVAFE, ma non dall’imposta di bollo ordinaria, che si rende applicabile qualora le attività finanziarie estere siano intestate a una società fiduciaria italiana. Lo stesso principio vale anche per le attività detenute presso un intermediario finanziario italiano (banche, SIM). Infatti, nei chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 17/E del 23 maggio 2017 (§ 5.2) non vi è cenno alla possibilità di disapplicazione dell’imposta di bollo. La stessa Assofiduciaria consiglia alle proprie associate di continuare ad applicarla (Comunicazioni FLAT TAX_COM_2017_111, pg. 6).

Per quanto attiene ai redditi di fonte estera, si pone un’ulteriore criticità. Infatti, stando alla lettura a specchio dell’art. 23, c. 1, lett. f) TUIR, i redditi diversi, fra cui in particolare i capital gain, sono territorialmente rilevanti se derivano “da attività svolte nel territorio dello Stato e da beni che si trovano nel territorio dello stesso”. La circolare dell’AdE non chiarisce se l’intestazione tramite fiduciaria italiana o la detenzione presso un intermediario italiano attragga in Italia la fonte del reddito. Per coerenza sistematica, appare corretto sostenere che i redditi di fonte estera mantengano tale qualifica e siano pertanto assorbiti dall’imposta sostitutiva. Tale punto meriterebbe comunque un chiarimento da parte dell’Amministrazione finanziaria.

Pertanto, il neo-residente che volesse avvalersi di una gestione patrimoniale ed eventualmente procedere a una intestazione fiduciaria delle proprie attività finanziarie estere avrebbe tutta la convenienza ad avvalersi di un operatore estero, anziché di uno italiano. In tal modo eviterebbe certamente l’applicazione dell’imposta di bollo ed eviterebbe di correre rischi sulla qualifica della fonte (italiana o estera) dei redditi.

Sotto questo profilo la Svizzera risulta essere competitiva perché non applica ai soggetti non residenti imposte sulla detenzione di attività finanziarie, né alle intestazioni fiduciarie. E’ vero che vi è un’imposta di bollo nella misura generalmente dello 0,15% sulle transazioni finanziarie, ma le eccezioni alla sua applicazione sono numerose.

Inoltre, non vi è rischio che il portafoglio sia soggetto a imposta di successione in Svizzera in caso di decesso del titolare. Infatti, i casi di imposizione sulle successioni sono estremamente limitati atteso che il criterio territoriale è generalmente legato alla residenza in Svizzera del de cuius al momento della morte. E’ fatto salvo il caso di immobili o stabilimenti di impresa (stabili organizzazioni) localizzati in Svizzera. Infine, nessun cantone applica l’imposta in caso di successione in linea retta o fra coniugi.

La gestione estera permette anche di salvaguardare i neo-residenti da un importante incognita che pende sul regime, cioè la sua costituzionalità. Infatti, la dottrina ha in più occasioni sollevato perplessità sulla compatibilità di tale regime con il principio della capacità contributiva sancito dall’articolo 53 della Costituzione italiana.

Ora, qualora la normativa non passasse il vaglio di costituzionalità, tutte le agevolazioni decadrebbero con ogni probabilità con effetto ex tunc, cioè sin dall’entrata in vigore della norma.

Inoltre, da più parti si riscontra un interesse per tale regime, che è frenato da un certo scetticismo nei confronti dello Stato italiano e della sua amministrazione. Molti contribuenti ricordano ancora, ad esempio, l’improvvisa introduzione dell’imposta sulla segretazione delle attività scudate tramite decreto legge da parte del governo Monti appena insediato (art. 19, c. 6, L. n. 201/2011). Tale imposta pari all’1% nel 2012 (aumentata al 1.35% per il 2013 e 0.4% a regime) colpiva le attività regolarizzate tramite le varie edizioni degli scudi fiscali e ancora oggetto di segretazione.

In questi casi è evidente che, se le attività finanziarie (e patrimoniali come gli immobili) estere fossero detenute da intermediari italiani, sarebbe inevitabile per questi ultimi procedere a ricalcolare e prelevare le imposte secondo i regimi ordinari sin da quando i neo-residenti si sono trasferiti in Italia oppure a prelevare imposte che fossero eventualmente introdotte in futuro. I gestori esteri invece chiaramente non possono operare quali sostituti di imposta per il fisco italiano.

I vantaggi del gestore svizzero

Sotto questo frangente, passando alle ragioni che possono portare a scegliere più specificatamente un gestore svizzero, va sottolineato che ad oggi non esiste fra i due Paesi uno strumento giuridico per la riscossione delle imposte attesa la riserva che la Svizzera ha posto agli articoli 11 e 12 della Convenzione di Strasburgo (Convenzione del Consiglio d’Europa e dell’OCSE
sulla reciproca assistenza amministrativa in materia fiscale
) in sede di recepimento (Decreto Federale del 18 dicembre 2015).

Una ulteriore ragione per preferire un gestore patrimoniale svizzero è legata alla lunga esperienza maturata con i clienti che si avvalgono del regime svizzero globalista, una delle principali fonti di ispirazione del regime italiano dei neo-residenti. In particolare, l’imposta sostitutiva italiana copre solo i redditi di fonte estera. Tutti i redditi di fonte italiana sono invece sempre tassati ordinariamente, senza possibilità di essere assorbiti dall’imposta sostitutiva. Un meccanismo per certi versi analogo è presente anche nel regime globalista, ai sensi del quale i redditi di fonte svizzera sono inseriti nella dichiarazione fiscale ed eventualmente tassati se portano a un superamento della base imponibile minima concordata con le autorità fiscali (attualmente CHF 400.000). I gestori svizzeri sono ben consci delle criticità che può comportare l’investimento diretto in titoli svizzeri e, di conseguenza, sanno come investire il portafoglio con titoli esteri, ad esempio tramite strutturati o ETF di diritto estero, ma il cui sottostante rappresenti investimenti svizzeri o comunque il loro andamento o i loro rendimenti. In tal modo è possibile mantenere lecitamente una esposizione ai titoli elvetici senza subire un aggravio di imposta. Mutatis mutandis, lo stesso approccio agli investimenti può essere applicato ai portafogli dei neo-residenti, che volessero investire in titoli italiani riducendo o annullando il carico fiscale, come pare avvallare l’Agenzia delle Entrate nella citata circolare, laddove conferma che la localizzazione della fonte del reddito segue il principio della lettura a specchio dell’articolo 23 TUIR, già utilizzato in tema di foreign tax credit di cui all’art. 165 TUIR. Di conseguenza, ad esempio, un fondo lussemburghese verrà considerato generare redditi esteri, nonostante il sottostante sia rappresentato in tutto o in parte da titoli italiani. In conclusione, la gestione patrimoniale svizzera permette ai neo-residenti di ridurre il carico fiscale sugli investimenti finanziari a livello di imposte sui redditi, patrimoniali e di successione e donazione, nonché di mantenere al contempo la protezione sul proprio patrimonio, anche nell’ipotesi in cui intervengano modifiche a tale regime. Ecco perché rappresenta la soluzione ideale per i neo-residenti.

Se gli investimenti sostenibili hanno performance finanziarie di tutto rispetto.

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Nonostante vi sia un crescente riconoscimento della concretezza finanziaria sui rischi e sulle opportunita’ di ESG (Enviromental, Social e Governance), c’e’ ancora un comune e profonda a pregiudizio tra i professionisti del mondo finanziario riguardo al  Sustainable Finance che secondo molti  non performa finanziariamente.

Sulla base di 2200 studi primary focalizzati nello studiare la correlazione correlazione tra ESG e CFP (Corporate Financial Performance) che seguono dati dagli inizi del 1970 si puo’ però chiaramente mostrare l’appetibilità degli investimenti  in ESG.

Questo risultato e’ in contrasto con la comune percezione tra gli investitori i quali sono fuorviati dai risultati di studi su portafogli che mostrano risultati inquinati dai costi dei fondi per l’implementazione delle strategie, e dai rischi sistemici  legati a specifici portafogli.

La outperformance di ESG esiste in molte aree del mercato e soprattutto in Nord America, nei mercati emergenti e asset class non liquide. L’orientamento verso investimenti di lungo termine responsabili dovrebbe essere importante per qualsiasi investitore

Questo richiede una dettagliata e profonda conoscenza di come integrare i criteri di ESG in un processo d’investimento al fine di raccoglierne il totale potenziale dei fattori che ne enfatizzano il valore. Quando si valutano le performance della finanza sostenibile e’ importante notare come differenti forme di finanza sostenibile possano avere diverse caratteristiche di rischio e ritorno. Ad esempio gli investimenti tematici, che sono spesso scomesse concentrate in un’industria, sono molto differenti da approcci trasversali, integrati o di impact investing.

Non dimentichiamo che il settore finanziario gioca un importante ruolo nel finanziare le strutture future dell’economia ed ha un ruolo centrale nell’allocare capitale su progetti che contribuiscono a sviluppi sostenibili ( efficienza energetica, riduzione inquinamento, condizione del lavoro umano, riduzione della perdita di biodiversità).

Quest’ultima considerazione ci dovrebbe far riflettere nell’importanza di allocare risorse in queste iniziative a prescindere dal ritorno che ne conseguono. Le nuove generazioni rappresenteranno la svolta in questo approccio.

Se il No al referendum porta incertezza nei mercati

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Oggi sul Corriere della Sera Federico Fubini, il vicedirettore intervista Martin Wolf capo dei commentatori del Financial Times . Wolf sostiene che un No al referendum potrebbe portare ad una sfiducia degli investitori nei confronti dell’Italia e,  del resto,  sostiene Wolf Renzi è uno dei pochi leader europei con una agenda di riforme che sta portando avanti  e  se perde  è naturale che i mercati pensino che abbia perso la sua sfida, che non sia in grado di fare le riforme e che il Paese si avvii in una fase di incertezza .

Questa l’opinione del direttore associato del Financial Times ma proprio oggi il Wall Street Journal allarga lo spettro facendo un collegamento (non è la prima volta in realtà) fra il voto al referendum e la situazione delle banche in Italia e in particolare quella del Monte dei Paschi.James Mackintosh individua il Monte come la perfetta intersezione fra economia e politica e se viene meno la parte politica (in questo caso il No al referendum) trovare i 5 miliardi che servono al Monte per la ricapitalizzazione di cui si sta occupando JP Morgan diventa difficile. Se Renzi vince, secondo Mackintosh, Il Monte viene ricapitalizzato grazie anche alla fiducia dei mercati e questo sarà uno dei casi in cui politica e banche possono andare d’accordo.