E’ il gestore patrimoniale svizzero il più adatto al regime italiano dei neo-residenti

Francesco Baccaglini, responsabile Tax & Legal di Albacore Wealth Management spiega su MF – Milano Finanza del 12/12/2017  come i gestori patrimoniali svizzeri siano la soluzione ideale per la gestione degli asset dei neo residenti.  

mF-12 dicembre

Qui sotto trovate il testo più completo.

Le ragioni che portano a scegliere un gestore svizzero sono molteplici e ben note. A queste se ne aggiungono alcune nuove, che riguardano specificatamente il regime italiano dei c.d. neo-residenti.

A partire dal 2017, le persone fisiche che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia possono optare per l’applicazione di una imposta annuale sostitutiva dell’IRPEF sui redditi provenienti dall’estero pari a € 100.000, oltre a € 25.000 per ogni famigliare (art. 24-bis TUIR). L’imposta prescinde dalla tipologia, qualificazione e quantificazione dei redditi esteri con la sola rilevante eccezione delle plusvalenze sulle partecipazioni qualificate (>2% o >20% dei diritti di voto o >5% o >25% del capitale a secondo che i titoli siano negoziati in mercati regolamentati o meno) realizzate nei cinque anni successivi al trasferimento della residenza. Inoltre, sono esentati (i) dal pagamento dell’IVAFE (Imposta sul Valore delle Attività Finanziarie all’Estero), (ii) dell’IVIE (Imposta sul Valore degli Immobili all’Estero), (iii) delle imposte di successione e donazione sui beni e diritti esteri (art. 1, c. 158, L. n. 232/2016) e (iv) dagli obblighi del monitoraggio fiscale, c.d. Quadro RW (art. 1, c. 153, L. n. 232/2016). I redditi di fonte italiana sono invece soggetti ai regimi impositivi ordinari.

Per poter accedere a questo regime occorre non essere stati fiscalmente residenti in Italia per nove dei dieci periodi di imposta precedenti all’esercizio dell’opzione. L’opzione non è preclusa ai cittadini italiani che, anzi, potrebbero essere fra i principali fruitori.

I vantaggi di una gestione patrimoniale estera

 Una volta trasferiti in Italia, i soggetti neo-residenti possono avere interesse a dare un mandato di gestione a un intermediario italiano o a procedere con l’intestazione fiduciaria di attività estere per motivi di riservatezza.

A tal fine, occorre distinguere i vantaggi di una gestione effettuata all’estero, in particolare in Svizzera, rispetto a una gestione in Italia, nonché all’intestazione tramite una fiduciaria svizzera rispetto a una italiana.

In primo luogo, la normativa di riferimento citata (art. 1, c. 153, L. n. 232/2016) prevede l’esenzione dall’IVAFE, che è un’imposta analoga al bollo applicato nella misura del 2 per mille all’anno sul valore dei prodotti finanziari e libretti di risparmio detenuti all’estero dalle persone fisiche residenti in Italia (art. 19, c. 18, L. n. 201/2011). I conti correnti sono colpiti con un’imposta fissa pari a € 34,20, se la giacenza media supera gli € 5.000 nel corso dell’anno.

Come osservato da Assofiduciaria (cfr. le Comunicazioni FLAT TAX_COM_2017_111 del 7 giugno 2017 e FLAT TAX_COM_2017_067 del 5 aprile 2017), la normativa dispone l’esenzione dall’applicazione dell’IVAFE, ma non dall’imposta di bollo ordinaria, che si rende applicabile qualora le attività finanziarie estere siano intestate a una società fiduciaria italiana. Lo stesso principio vale anche per le attività detenute presso un intermediario finanziario italiano (banche, SIM). Infatti, nei chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 17/E del 23 maggio 2017 (§ 5.2) non vi è cenno alla possibilità di disapplicazione dell’imposta di bollo. La stessa Assofiduciaria consiglia alle proprie associate di continuare ad applicarla (Comunicazioni FLAT TAX_COM_2017_111, pg. 6).

Per quanto attiene ai redditi di fonte estera, si pone un’ulteriore criticità. Infatti, stando alla lettura a specchio dell’art. 23, c. 1, lett. f) TUIR, i redditi diversi, fra cui in particolare i capital gain, sono territorialmente rilevanti se derivano “da attività svolte nel territorio dello Stato e da beni che si trovano nel territorio dello stesso”. La circolare dell’AdE non chiarisce se l’intestazione tramite fiduciaria italiana o la detenzione presso un intermediario italiano attragga in Italia la fonte del reddito. Per coerenza sistematica, appare corretto sostenere che i redditi di fonte estera mantengano tale qualifica e siano pertanto assorbiti dall’imposta sostitutiva. Tale punto meriterebbe comunque un chiarimento da parte dell’Amministrazione finanziaria.

Pertanto, il neo-residente che volesse avvalersi di una gestione patrimoniale ed eventualmente procedere a una intestazione fiduciaria delle proprie attività finanziarie estere avrebbe tutta la convenienza ad avvalersi di un operatore estero, anziché di uno italiano. In tal modo eviterebbe certamente l’applicazione dell’imposta di bollo ed eviterebbe di correre rischi sulla qualifica della fonte (italiana o estera) dei redditi.

Sotto questo profilo la Svizzera risulta essere competitiva perché non applica ai soggetti non residenti imposte sulla detenzione di attività finanziarie, né alle intestazioni fiduciarie. E’ vero che vi è un’imposta di bollo nella misura generalmente dello 0,15% sulle transazioni finanziarie, ma le eccezioni alla sua applicazione sono numerose.

Inoltre, non vi è rischio che il portafoglio sia soggetto a imposta di successione in Svizzera in caso di decesso del titolare. Infatti, i casi di imposizione sulle successioni sono estremamente limitati atteso che il criterio territoriale è generalmente legato alla residenza in Svizzera del de cuius al momento della morte. E’ fatto salvo il caso di immobili o stabilimenti di impresa (stabili organizzazioni) localizzati in Svizzera. Infine, nessun cantone applica l’imposta in caso di successione in linea retta o fra coniugi.

La gestione estera permette anche di salvaguardare i neo-residenti da un importante incognita che pende sul regime, cioè la sua costituzionalità. Infatti, la dottrina ha in più occasioni sollevato perplessità sulla compatibilità di tale regime con il principio della capacità contributiva sancito dall’articolo 53 della Costituzione italiana.

Ora, qualora la normativa non passasse il vaglio di costituzionalità, tutte le agevolazioni decadrebbero con ogni probabilità con effetto ex tunc, cioè sin dall’entrata in vigore della norma.

Inoltre, da più parti si riscontra un interesse per tale regime, che è frenato da un certo scetticismo nei confronti dello Stato italiano e della sua amministrazione. Molti contribuenti ricordano ancora, ad esempio, l’improvvisa introduzione dell’imposta sulla segretazione delle attività scudate tramite decreto legge da parte del governo Monti appena insediato (art. 19, c. 6, L. n. 201/2011). Tale imposta pari all’1% nel 2012 (aumentata al 1.35% per il 2013 e 0.4% a regime) colpiva le attività regolarizzate tramite le varie edizioni degli scudi fiscali e ancora oggetto di segretazione.

In questi casi è evidente che, se le attività finanziarie (e patrimoniali come gli immobili) estere fossero detenute da intermediari italiani, sarebbe inevitabile per questi ultimi procedere a ricalcolare e prelevare le imposte secondo i regimi ordinari sin da quando i neo-residenti si sono trasferiti in Italia oppure a prelevare imposte che fossero eventualmente introdotte in futuro. I gestori esteri invece chiaramente non possono operare quali sostituti di imposta per il fisco italiano.

I vantaggi del gestore svizzero

Sotto questo frangente, passando alle ragioni che possono portare a scegliere più specificatamente un gestore svizzero, va sottolineato che ad oggi non esiste fra i due Paesi uno strumento giuridico per la riscossione delle imposte attesa la riserva che la Svizzera ha posto agli articoli 11 e 12 della Convenzione di Strasburgo (Convenzione del Consiglio d’Europa e dell’OCSE
sulla reciproca assistenza amministrativa in materia fiscale
) in sede di recepimento (Decreto Federale del 18 dicembre 2015).

Una ulteriore ragione per preferire un gestore patrimoniale svizzero è legata alla lunga esperienza maturata con i clienti che si avvalgono del regime svizzero globalista, una delle principali fonti di ispirazione del regime italiano dei neo-residenti. In particolare, l’imposta sostitutiva italiana copre solo i redditi di fonte estera. Tutti i redditi di fonte italiana sono invece sempre tassati ordinariamente, senza possibilità di essere assorbiti dall’imposta sostitutiva. Un meccanismo per certi versi analogo è presente anche nel regime globalista, ai sensi del quale i redditi di fonte svizzera sono inseriti nella dichiarazione fiscale ed eventualmente tassati se portano a un superamento della base imponibile minima concordata con le autorità fiscali (attualmente CHF 400.000). I gestori svizzeri sono ben consci delle criticità che può comportare l’investimento diretto in titoli svizzeri e, di conseguenza, sanno come investire il portafoglio con titoli esteri, ad esempio tramite strutturati o ETF di diritto estero, ma il cui sottostante rappresenti investimenti svizzeri o comunque il loro andamento o i loro rendimenti. In tal modo è possibile mantenere lecitamente una esposizione ai titoli elvetici senza subire un aggravio di imposta. Mutatis mutandis, lo stesso approccio agli investimenti può essere applicato ai portafogli dei neo-residenti, che volessero investire in titoli italiani riducendo o annullando il carico fiscale, come pare avvallare l’Agenzia delle Entrate nella citata circolare, laddove conferma che la localizzazione della fonte del reddito segue il principio della lettura a specchio dell’articolo 23 TUIR, già utilizzato in tema di foreign tax credit di cui all’art. 165 TUIR. Di conseguenza, ad esempio, un fondo lussemburghese verrà considerato generare redditi esteri, nonostante il sottostante sia rappresentato in tutto o in parte da titoli italiani. In conclusione, la gestione patrimoniale svizzera permette ai neo-residenti di ridurre il carico fiscale sugli investimenti finanziari a livello di imposte sui redditi, patrimoniali e di successione e donazione, nonché di mantenere al contempo la protezione sul proprio patrimonio, anche nell’ipotesi in cui intervengano modifiche a tale regime. Ecco perché rappresenta la soluzione ideale per i neo-residenti.

Pochi gli effetti fiscali sulle aziende italiane dallo stop alla riforma delle imprese svizzere

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1 marzo 2017. Oggi MF ha pubblicato un articolo a firma di Francesco Fabiani e Francesco Baccaglini sul referendum che qualche giorno fasi è tenuto in Svizzera sulla Riforma delle Imprese III. Ecco il testo dell’articolo.

Il 12 febbraio si è tenuto in Svizzera il referendum sulla Riforma delle Imprese III, la quale era incentrata su tre pilastri portanti: (1) l’abolizione dei regimi fiscali privilegiati concessi a determinate società (ausiliarie, di amministrazione e holding), (2) l’introduzione di nuovi regimi fiscali cantonali volti a incentivare l’attività di R&D (Patent box e super ammortamento di impianto BEPS) e (3) la riduzione delle aliquote cantonali sulla tassazione degli utili.

Il referendum è stato respinto dalla maggioranza della popolazione e dei cantoni con risultati molto diversi fra i cantoni. A livello federale ha votato contro il 59.1% ma il panorama a livello cantonale è stato invece molto variegato con quattro cantoni che hanno votato a favore fra cui il Ticino (oltre Zugo, Vaud e Nidvaldo), dove la percentuale dei favorevoli si è attestata al 51.2%.

Il risultato del referendum riflette la difficoltà di coniugare i tre principali obiettivi della Riforma, i quali sono in apparente antitesi fra loro:

  • abolire i regimi fiscali privilegiati invisi alla UE e all’OCSE;
  • restare fiscalmente attrattivi;
  • mantenere un gettito di imposta in linea con quello attuale.

Paradossalmente ciò che ha portato alla bocciatura della riforma non è stata l’abolizione dei regimi speciali, visti come i principali strumenti di attrattività fiscale per le imprese estere, ma la riduzione dell’imposizione delle società a livello cantonale con la conseguente diminuzione del gettito e quindi, potenzialmente, del welfare.

L’ impatto dello slittamento della riforma sui rapporti Svizzera –Italia

 

Se si guarda ai rapporti fiscali fra Svizzera e Italia ci accorgiamo che uno slittamento della Riforma non ha un impatto significativo, grazie al mutato contesto normativo italiano ed alla normalizzazione dei rapporti tra i due Stati (in seguito all’abolizione del segreto bancario e all’adesione da parte della Svizzera al sistema di scambio automatico di informazioni). Infatti il maggior timore per le imprese svizzere è quello di finire nelle black list.

Le black list Italiane

Il panorama delle black list italiane è piuttosto frastagliato. La normativa CFC (Controlled Foreign Companies) contenuta nell’articolo 167 TUIR, cioè la tassazione per trasparenza degli utili delle società estere controllate in capo ai soci italiani (persone fisiche o giuridiche) a seguito delle modifiche introdotte con il Decreto internazionalizzazione (D.Lgs. n. 147 del 14 settembre 2015) e dalla Legge di stabilità 2016 (Legge n. 208 del 28 dicembre 2015, art. 1, c. 142) a partire dal 2016 non fa più riferimento alla black list di cui al D.M. 21 novembre 2001. Inoltre la c.d. “piccola CFC”, cioè la tassazione per trasparenza degli utili delle società collegate, è stata abrogata (ex art. 168 TUIR).

Rientrano invece nell’ambito di applicazione della CFC le società con sede al di fuori di UE o SEE che hanno un livello di tassazione nominale inferiore al 50% di quello italiano (art. 167, c. 4 TUIR).

Le società svizzere – sia quelle ordinarie, ma anche quelle che beneficiano di un regime fiscale privilegiato – probabilmente non rientrano in questa categoria. Infatti, la norma si riferisce al livello nominale di tassazione, quindi non tiene conto dell’effetto della deducibilità delle imposte dal reddito, tipico del sistema fiscale svizzero. In altre parole conta la somma delle aliquote di imposta, che al momento sono fissate al 8.5% a livello federale e al 9% a livello cantonale (Ticino) a cui vanno aggiunte le imposte comunali. Questo dato va raffrontato con la tassazione IRES delle società italiane che a partire dal 2017 si attesta al 24%. Di conseguenza, il tax rate nominale svizzero è ampiamente superiore al 12% (24%/2). Anche stimando ad esempio una riduzione dell’aliquota cantonale ticinese al 6% post Riforma (tutte le aliquote proposte dai cantoni andranno riviste alla luce della bocciatura del referendum), il tax rate nominale sarebbe comunque superiore al 12%. In tale contesto, il tax rate effettivo applicabile in Svizzera alle società a tassazione ordinaria (nell’ordine del 19.6% per il Ticino, che verrà probabilmente ridotto al 16% circa) non ha rilevanza ai fini dell’applicazione della disciplina CFC.

Rientrano poi nella CFC anche le società che a prescindere da dove è collocata la sede soddisfino congiuntamente due condizioni: (i) la maggior parte dei proventi sono costituiti da passive income e (ii) il tax rate effettivo è inferiore al 50% di quello italiano. Sono quindi anzitutto escluse dall’ambito di applicazione le società che non producono passive income. Anche in questo caso, l’abbassamento dell’aliquota IRES al 24% porta a escludere dalla CFC tutte le società che producono passive income senza regimi speciali e probabilmente anche un gran numero di società che pur godendo di un regime speciale si attestano comunque sopra al 12%.

La nuova normativa sui dividendi

E’ importante segnalare un importante riflesso legato alla nuova normativa CFC per quanto riguarda le persone fisiche residenti in Italia che hanno partecipazioni in società svizzere. Di regola, i dividendi da partecipazioni qualificate (>20%) sono soggetti ad IRPEF, ma godono dello sgravio del 50.28% (49.72% imponibile da rivedere a seguito della riduzione dell’aliquota IRES dal 27.5% al 24%), mentre i dividendi da partecipazioni non qualificate sono soggetti ad imposta del 26%. Qualora invece i dividendi (a prescindere dalla qualificazione della partecipazione) provengano da società che ricadono nella disciplina CFC, concorrono integralmente alla formazione del reddito imponibile, cioè sono soggetti ad IRPEF progressiva sull’intero ammontare. Va osservato che il richiamo è alla CFC di cui all’articolo 167, c. 4 TUIR, cioè quella basata sull’aliquota nominale, non effettiva (art. 167, c. 8-bis TUIR).

Assistiamo infine al progressivo inserimento della Svizzera nelle white list basate sull’effettivo scambio di informazioni. Già nell’agosto 2016 la Svizzera è stata inserita nella lista dei Paesi white list (D.M. 4 settembre 1996) verso i quali non si applicano le ritenute sugli interessi pagati dai grandi emittenti (D.Lgs. 239/1996).

Pensiamo che un nuovo testo di riforma delle imprese III modificato verrà proposto sulla falsariga di quello appena bocciato. Ma nel frattempo i rapporti fra Italia e Svizzera sono comunque destinati a normalizzarsi a seguito dell’introduzione dello scambio di informazioni sia a livello convenzionale, che automatico (a partire dal 2018 con dati 2017) e del nuovo quadro normativo italiano sopra descritto.

Italia – Svizzera: la normalizzazione

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I rapporti fra governi di Italia e Svizzera sopratutto nell’ambito della armonizzazione fiscale sono  mutati  molto rapidamente nel corso degli ultimi due anni e vanno  sempre di più verso una definitiva normalizzazione.

Tutto è iniziato il 23 febbraio 2015, quando sotto l’incombenza del programma di voluntary disclosure, l’Italia e la Svizzera si erano affrettate a firmare un protocollo di modifica alla convenzione contro le doppie imposizioni, per altro una delle più vecchie siglate dall’Italia (1976). La modifica ha riguardato esclusivamente lo scambio di informazioni in materia fiscale fra i due Paesi, per portarlo in linea con i più recenti standard OCSE. In particolare il nuovo accordo ha portato al superamento del segreto bancario, sebbene limitatamente alle informazioni fiscali e a partire dal 23 febbraio 2015. Il segreto bancario rimane intatto per le fattispecie che esulano dall’ambito fiscale.

Inoltre, a latere del Protocollo le delegazioni dei due Paesi avevano siglato anche una road map in cui erano inserite le linee guida per le c.d. domande raggruppate, cioè richieste di informazioni che riguardano una pluralità di contribuenti non individuati singolarmente, bensì sulla base di comportamenti determinati. Il valore legale della road map è dubbio. Certamente la recente sentenza del Tribunale Federale ha aperto la strada allo scambio di informazioni basato su domande raggruppate. Nel caso di specie si trattava della richiesta da parte delle autorità fiscali olandesi di ottenere i nominativi dei propri contribuenti con conti in UBS che non avessero fornito alla banca la prova della loro conformità fiscale. Cio’ non significa che il fisco degli altri Stati possa fare richieste di assistenza troppo generiche, c.d. fishing expedition, vietate dagli standard OCSE.

Il Protocollo di modifica è entrato in vigore il 13 luglio 2016 a seguito della sua ratifica da parte prima della Svizzera (Decreto federale del 18 marzo 2016), senza per altro che venisse proposto referendum contro l’approvazione nei termini (7 luglio), e poi dell’Italia (Legge n. 69 del 4 maggio 2016).

Il primo risultato tangibile è stato il venir meno della necessità del waiver per i conti e depositi svizzeri regolarizzati dai contribuenti italiani nell’ambito della procedura di voluntary disclosure. L’Agenzia delle Entrate potrà infatti utilizzare la procedura di cooperazione amministrativa prevista dal nuovo strumento convenzionale (articolo 27) per ottenere informazioni come per gli altri Paesi white list ai fini della VD. Anche se sul punto si aspetta ancora una presa di posizione formale da parte dell’amministrazione.

Il secondo diretto risultato è stata l’eliminazione della Svizzera dalla black list del D.M. 4 settembre 1996 relativa all’applicazione delle ritenute sui pagamenti di interessi su obbligazioni e i titoli dei grandi emittenti (basata sullo scambio di informazioni). Ciò dovrebbe incentivare gli investimenti finanziari svizzeri in Italia. Infatti, gli investitori non subendo più la ritenuta alla fonte, ad esempio sugli interessi pagati dai titoli di Stato italiani, non dovranno più chiederne il rimborso con ovvie semplificazioni.

A seguito dell’entrata in vigore del Protocollo, la Svizzera verrà progressivamente espunta da tutte le black list basate sul mancato scambio di informazioni.

Al contempo, la Svizzera è destinata a essere esclusa anche dalle black list basate sui regimi fiscali privilegiati, in particolare nella nuova CFC (art. 167, c. 4 TUIR).

Infatti, con l’entrata in vigore nel 2019 della riforma delle imprese III, verranno abrogati i regimi fiscali privilegiati basati sugli statuti speciali, segnatamente le società ausiliarie, di amministrazione e holding, ma anche quelli analoghi. Nei fatti, questi regimi sono già in fase di abbandono da parte di varie società perché saranno oggetto di scambio di informazione (spontaneo obbligatario) a partire dal 2018.

I regimi speciali sono invisi alla UE che li ha tacciati di essere non conformi agli Accordi bilaterali sin dal 2007. In questo modo, anche il contenzioso in corso con la UE verrà a cessare.

Per compensare tale scelta, la riforma attualmente in fase di perfezionamento introduce due vantaggi fiscali per mantenere la Svizzera competitiva e attrattiva sotto il profilo degli investimenti. Da una parte una riduzione generalizzata delle aliquote di tassazione. Una società in Ticino potrebbe subire una tassazione effettiva intorno al 15%-17%. Dall’altra, due regimi speciali – il super ammortamento e il patent box – che sono stati avvallati dal progetto BEPS (Action 5). Si tratta di misure recentemente introdotte anche dall’Italia e da altri Paesi OCSE. Tuttavia, tali regimi unitamente alla riduzione delle aliquote di imposta rendono la Svizzera particolarmente attrattiva rispetto a molti altri Stati.

Alcune questioni ancora aperte

La fretta di concludere l’accordo ha lasciato ancora alcuni punti importanti aperti fra i due Paesi. In primis la questione dei frontalieri e lo status di Campione di Italia, temi molto sentiti al di qua della frontiera. Come l’accesso ai mercati finanziari italiani da parte delle banche svizzere, che però si sovrappone alle competenze della UE e non può quindi essere oggetto di negoziazione esclusivamente bilaterale. Ad ogni modo, questi dossier non sono tali da invertire il trend di normalizzazione dei rapporti fra i due Paesi. Anzi, possono solo accelerarli una volta che saranno risolti.

In conclusione, la Svizzera ha dimostrato nei fatti di essere sempre di più un partner affidabile e cooperativo, rimuovendo definitivamente quella patina di paradiso fiscale o di opacità, che l’ha appannata nel corso degli ultimi decenni. Di conseguenza, la Confederazione si candida a divenire un importante hub finanziario e industriale per gli investimenti da e verso l’Italia.

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L’industria svizzera del wealth management è vitale  come sempre

Pubblichiamo il testo dell’articolo del CEO di Albacore, Francesco Fabiani, apparso oggi nella sezione commenti & analisi di MF- Milano Finanza

Nel 2014 la Svizzera ha aderito al CRS (common reporting standard) e, pertanto, scambierà automaticamente dati bancari con 97 Stati (tra i quali tutti i membri della UE e quelli OCSE, salvo gli USA). Dalla storica decisione del 13 marzo 2009, la Svizzera ha modificato importanti Convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni (compresa quella con l’Italia) per consentire lo scambio di informazioni finanziarie. In questo contesto è interessante rilevare che la Svizzera non ha perso la sua attrattivita: nel 2015, infatti, si è registrato un incremento dei patrimoni depositati in Svizzera (fonte: rapporto Roland Berger), la quale si conferma quale prima piazza mondiale nel Wealth management.
Per i residenti in Italia l’abbandono del segreto bancario ha aumentato l’attrattività della piazza finanziaria svizzera: oggi è infatti possibile aprire una relazione bancaria a Lugano, Zurigo o Ginevra senza essere assoggettati a monitoraggio speciale o senza assumere la connotazione di evasore fiscale. Non esiste più nessuna differenza (in termini di adempimenti e comunicazioni) tra avere un conto in Svizzera, piuttosto che in Germania o in Olanda.
Per residenti in Italia quindi i vantaggi del detenere una parte più o meno rilevante dei propri risparmi in Svizzera sono principalmente tre:
Il primo è la riservatezza. In Italia, infatti, la norma e la prassi giurisprudenziale ha ampliato il numero dei soggetti terzi che possono accedere alle informazioni bancarie, anche in assenza di un procedimento giudiziale o di un accertamento fiscale. In sostanza, terzi interessati (per esempio: creditori, ex-coniuge, eredi legittimari) possono conoscere con relativa facilità e rapidità l’esatta consistenza dell’intero patrimonio di un soggetto residente, ricorrendo alle informazioni contenute nell’Anagrafe Tributaria e quella dei rapporti finanziari. In particolare, nell’anagrafe dei rapporti finanziari affluiscono tutti i dati sui rapporti e movimenti finanziari dei contribuenti (entrate, uscite, redditi, spese, accessi alla casetta di sicurezza, rapporti fiduciari, etc). I patrimoni depositati su conti Svizzeri, invece, pur essendo dichiarati ai fini fiscali, non confluiscono nell’anagrafe dei rapporti finanziari. La consistenza dei conti esteri alla fine di ogni anno, nonché la somma algebrica del totale dei prelievi e delle entrate, viene dichiarata autonomamente dal contribuente una volta all’anno, con la presentazione della dichiarazione fiscale personale a settembre dell’anno successivo. I dettagli sui movimenti e sugli impieghi, quindi, non sono visibili ai terzi se non nell’ambito di una procedura di scambio di informazioni internazionale opportunamente motivata ed accettata dalle autorità svizzere. Alla riservatezza si aggiunge la segregazione. In Italia, per esempio, una volta identificata la localizzazione e la consistenza delle attività finanziarie di una persona è possibile per terzi interessati ottenere con facilità misure cautelari e conservative d’urgenza (in seguito, per esempio ad azioni di responsabilità, vicende divorzili, controversie con creditori, etc). Al contrario, per ottenere un provvedimento di sequestro preventivo o conservativo su conti in Svizzera è richiesto l’avvio di una procedura cross-border che prevede – ai fini dell’esecuzione – l’autorizzazione del pretore svizzero (il quale vaglierà il merito della richiesta alla luce della normativa svizzera. Ne consegue che solo istanze opportunamente motivate verranno accolte). Il terzo è la sicurezza degli operatori bancari che è sempre stata uno dei valori fondanti dell’attività di gestione patrimoniale in Svizzera, la maggior parte delle banche Svizzere infatti sono altamente patrimonializzate ed hanno bassi rischi dal lato degli impieghi. Salvo UBS e CS, le altre banche non hanno una significativa attività dei investment banking, e tradizionalmente non effettuano attività di finanziamento a imprese o persone fisiche. L’attività principale di wealth management, infatti, si incentra sulla custodia e la gestione di patrimoni privati ed, inoltre, le norme Svizzere in tema di bail-in sono più tutelanti per i clienti rispetto a quelle italiane. A tutto questo si aggiunge il basso rischio Paese (proverbiale solidità finanziaria della Confederazione e dei Cantoni), stabilità politica e efficienza del sistema giudiziario. Per ultimo l’efficienza nella gestione di portafoglio che le piattaforme di wealth management ed i servizi di custodia/esecuzione offerti da banche svizzere hanno saputo garantire in maniera più efficiente di quella delle banche italiane. E’ vero che i costi delle banche elvetiche sono, in media, più elevati di quelli delle banche italiane, ma la scelta di prodotti finanziari è molto più ampia