Cinque cose che le grandi banche e i FO possono fare insieme

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*Di Elena Giordano

Le grandi banche che operano nel Wealth Management vedono spesso nei Family Office e nei Multi Family Office dei concorrenti mentre spesso, invece, non si rendono conto che con il loro posizionamento, il loro network e le loro competenze possono essere un buon partner per un Family Office.

UBS, ad esempio, considera il segmento dei Family Office ed gli MFO un’opportunità commerciale strategica. Famiglie con un patrimonio superiore a 150 milioni rappresentano la taglia ideale per la creazione di un Family Office, parliamo di strutture che sono in grado di implementare le gestioni patrimoniali, investimenti, il consolidamento fiscale, la governance la pianificazione della successione, ecc., nessun Family Office può fare tutto e la grande banca non può creare un FO taylor made.

Ecco cinque cose che le grandi banche possono fare insieme ai Family Office

  1. Trading. Le grandi banche spesso possono svolgere le funzione di un FO ma con un livello di accuratezza e taylorizzazione insufficiente per le grandi famiglie imprenditoriali ma, d’altro canto, hanno a disposizione piattaforme di trading molto efficienti pertanto anche se i clienti dei Family Office hanno un proprio CIO hanno comunque bisogno di una controparte forte per le negoziazioni
  2.  Investment Banking. Una cosa che sicuramente i Family Office non possono fare in maniera perfetta è la combinazione di gestione patrimoniale e investment banking. Banche come UBS hanno molte competenze e relazioni nell’ investment banking e pertanto sono un partner naturale dei FO.
  3. Conoscenza delle geografie. Le grandi banche con una presenza forte in tutte le geografie sono anche in grado di interpretare le forti differenze regionali nei bisogni dei FO mettendole  a fattor comune, se richieste, per una proposta consulenziale: i clienti europei spesso privilegiano la conservazione della ricchezza  e il trasferimento di beni attraverso le generazioni, l ‘Asia è meno avanzata in termini di sviluppo dei Family Office e spesso vi è una commistione fra beni familiari e aziendali, la Cina, invece, è un mercato in rapidissima crescita e le famiglie sono concentrate sviluppo della propria attività.
  4. Private Equity. Nelle allocazioni di portafoglio dei Family Office i portafogli di PE rappresentano il 20% delle allocazioni del portafoglio medio. Negli ultimi quattro anni gli investimenti in PE sono cresciuti e i rendimenti sono sempre stati rilevanti (noi stessi di Albacore abbiano avuto nei nostri portafogli di PE rendimenti attorno al 14% negli ultimi anni). Nell’ambito del Private Equity, l’attenzione si concentra sui fondi di venture capital e su investimenti diretti e coinvestimenti. C’è un grande interesse ma in realtà, trovare  gli affari non è facile e non mancano le richieste da parte delle famiglie di unire le forze con altri FO sugli investimenti in PE.  Le grandi banche possono fare tanto in questo ambito: database di aziende investibili, analisi, connessioni fra famiglie imprenditoriali  e FO appartenenti a geografie diverse.
  5. Analisi di scenario. Le grandi banche grazie ai loro database ed ai loro centri sono in grado di interpretare le tendenze di investimento e i bisogni dei nuovi dirigenti dei family office: uno degli argomenti sul tavolo nei Family Office moderni sono gli impact investments e la filantropia che sempre più saranno oggetto di interesse da parte dei Millennials. Sempre più costoro si avvicinano a governare le leve di investimento della famiglia perché, in fondo, il 70% dei FO prevede una transizione generazionale nei prossimi 10-15 anni.
*Partner Albacore Wealth Management

P/E: rendimenti medi a due cifre nel 2017 ma in calo rispetto al 2016.

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Di Roberto Tronci*

Secondo una ricerca di KPMG e AIFI è pari al 12,5% il rendimento medio annuo dei fondi di Private Equity in Italia.Si tratta di un dato ricavato attraverso il monitoraggio di 91 disinvestimenti ma inferiore di 2 punti percentuali a quanto rilevato nel 2016, comunque un dato a due cifre. l’Irr del 2017 è in linea con il trend degli ultimi 5 anni ed è  importante segnalare ache si sono fatte meno “grandi operazioni” mentre sono aumentate quelle che rientrano nel mid market con rendimenti compresi tra il 10 e il 20%”.Nel caso dei mid market vi sono state operazioni importanti nel settore alimentare (ristorazione) e nella produzione di semilavorati.

La performance del 2017 è stata determinata, da un lato, dai rendimenti complessivamente positivi, dall’altro, dal minor impatto dei write off, sia totali (cioè svalutazione del 100% del valore dell’investimento), sia parziali (pari ad almeno l’80%). Nel 2017, l’incidenza dei write off risulta inferiore, sia per numero (9% nel 2017 contro 17,2% nel 2016), sia in termini di volumi di investimento (cash out), passando dal 1,4% registrato nel 2017 al 3,1% del 2016.

Il cash out complessivo torna ai livelli del 2013, anno significativo in termini di performance generale (pari a 18,2%) per effetto di tre grandi operazioni (un trade sale e due Ipo). Nel 2017, invece, il settore del private equity non è stato interessato da mega deal o Ipo, ma da una serie di buone operazioni di media dimensione. Una per tutte,in Italia, l’acquisto da parte di Intrum di CAF, il servicer attivo negli NPL secured, venduto da Lone Star.

Sono le operazioni di management buy out quelle con il rendimento più alto : circa 32 operazioni con un Irr lordo del 13,4%. Le operazioni di replacement registrano una flessione rispetto a quelle registrate l’anno precedente, sia in termini numerici che di performance.

Nel 2017 si sono verificati i massimi livelli di «cash out» mai censiti dalla ricerca. Si stima che nel decennio 2008-2017 gli operatori di private equity abbiano investito circa 21 miliardi in Italia.

 

*CIO Albacore Wealth Management

 

Qualche domanda da farsi prima di inserire i familiari nel family business

 

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Di Francesco Fabiani*

Alcuni membri delle famiglie imprenditoriali iniziano a lavorare nelle aziende di famiglia quando sono ancora a scuola. Spesso si inizia con un lavoro estivo, altre volte dai livelli più bassi con un lavoro vero. In altri casi si inizia a lavorare al compimento dei 18 anni o dopo l’università. Altri ancora preferiscono fare esperienza fuori dalle aziende di famiglia e poi rientrare in azienda una volta acquisite le competenze.

La cosa più importante  che le famiglie imprenditoriali possono fare una volta che decidono di impiegare i loro membri nelle aziende è stabilire gli obiettivi da assegnare ai “nuovi assunti”, capire quali sono i piani di sviluppo dell’azienda e il ruolo dei familiari dentro l’azienda stessa. Perché una cosa è certa: l’Italia è la patria delle aziende familiari e la nostra storia è piena di innesti dall’interno delle famiglie che non sempre sono stati i più opportuni.  Acquisire competenze ed esperienze al di fuori dell’azienda familiare può portare una prospettiva fresca e rigenerante a un’azienda con un business consolidato. Può anche dare credibilità al membro della famiglia all’interno della famiglia stessa e, ovviamente, all’interno dell’azienda.  Alcune famiglie scelgono un’altra strada: incoraggiano i loro membri a stabilire le proprie attività che, se hanno successo, possono essere trasferite nell’azienda di famiglia.D’altra parte, nuove prospettive possono portare a grandi cambiamenti.

 C’è anche una domanda ricorrente:  quale ruolo un membro della famiglia dovrebbe prendere quando si unisce al business? Verrà creato un ruolo per ogni membro che entrerà in azienda o dovranno aspettare fino a quando una posizione adeguata non si libera? A queste domande non c’è mai una risposta univoca ma è importante valutare attentamente cosa è meglio  per l’azienda e per la famiglia quando si porta a bordo un nuovo membro.  Una volta che un membro della famiglia si è unito al business, è importante valutare come, grazie al suo apporto,  l’azienda potrà progredire. Molte famiglie progettano programmi di formazione rapidi per le prossime generazioni  mentre altre contano solo sull’esperienza che i nuovi entranti acquisiscono all’esterno. Un piano di ingresso di familiari in azienda passa anche per questo: formazione “in house” per i prossimi entranti o formazione all’esterno. Una delle potenziali implicazioni dell’ ingresso di nuovi dipendenti familiari dentro l’azienda è la reazione dei dipendenti: accetteranno tutto questo oppure storceranno il naso? Personalmente mi è capitato di sentire parlare ad un convegno  il figlio, CEO,  del fondatore di una grandissima azienda di servizi finanziari:  di fronte a tutti ha detto chiaro che la sua maggiore preoccupazione sono i suoi dipendenti e la considerazione che loro hanno di lui. Riporto le sue parole: “So benissimo di essere il figlio del padrone e so benissimo di poter essere percepito come un figlio di papà, nella nostra azienda ci sono tanti manager competenti nominati da mio padre che hanno con lui un rapporto quasi filiale io mi rapporto con loro ascoltandoli sempre e, soprattutto, non negando mai un appuntamento”.

Un altro tema che sta alla base dell’ingresso dei membri della famiglia nel team aziendale è la remunerazione: è fondamentale definire chiaramente quali membri della famiglia sono pagati e per cosa sono pagati. Tutto ciò è particolarmente rilevante quando c’è più di un membro della famiglia che lavora nel business, spesso può esserci la tentazione di discriminarlo in modo positivo o negativo. Il pensiero dietro il vecchio adagio “un giorno questo sarà tutto tuo” potrebbe diminuire, nel breve termine, gli stipendi per i parenti. D’altro canto molte aziende possono pagare ai familiari più delle loro controparti non familiari come un modo per incentivarli a entrare nel business.

 In conclusione la cosa più importante che si può fare quando si impiegano i membri della famiglia è essere chiari: essere chiari su cosa si aspetta che essi facciano ed ssere chiari su quanto saranno pagati. E importante anche aprire una discussione in famiglia sulla direzione che prenderà  l’azienda  con l’assunzione dei familiari. Tutti questi aspetti  sono spesso trascritti in una “costituzione di famiglia” o in uno statuto di famiglia e si affiancheranno ad altri caposaldi come proprietà, leadership, governance, ricchezza e filantropia.

*CEO Albacore Wealth Management

Sette ragioni alla base degli investimenti dei Family Office nelle Startup

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di Roberto Tronci*

Molti  nostri clienti e non solo i Millennials ma anche Baby Boomers ci chiedono di trovare qualche ottima occasione di investimento in startup. Si tratta di investimenti sui quali siamo sempre  cauti ma siamo anche convinti che vi siano sempre delle belle idee sulle quali investire.  Gli startupper  rispetto a pochi anni fa si sono fati più smart: meno sognatori e più concreti e, soprattutto, più consci del fatto che non bastano i soli fondi di VC per la crescita ma ci vuole ben altro. Stiamo guardando alcune startup interessanti e non solo tecnologiche e abbiamo in corso una serie di colloqui con primari Venture Capitalists per  far partecipare i nostri clienti ad alcuni investimenti. Ci sono a mio parere  7 aspetti dell’investimento dei Family Office in startup:

  1. Investimento attivi I FO sono spesso investitori passivi e allocati ad alto rischio: la tendenza si è spostata nell’investire in settori con maggior crescita. Inoltre, in molti casi, l’investimento è abbastanza grande da far si che un rappresentate del FO sia nel board contribuendo a dettare la strategia aziendale.
  2. Visione a lungo termine – I FO possono investire in cicli di ricerca e sviluppo più lunghi specialmente se la loro clientela è fatta da Millennials. Non sono pressati per disinvestire in tempi rapidi.
  3. A differenza di un VC che ha linee guida rigorose. Un FO può anche orientare il proprio investimento all’avvio nella fase di seed e non in mezzanine ad esempio.
  4. I FO in genere non hanno requisiti specifici sulla forma di investimento in capitali: in altre parole possono investire in equity per finanziare ricerca e sviluppo, possono prestare dei sodi alla società o, semplicemente, inserire delle competenze specifiche nelle startup.
  5. Networking: le startup sono una fonte di networking ( ma anche i FO) sono un abilitatore di networking ma, sopratutto le startup possiedono per loro natura molte delle chiavi dell’innovazione.
  6. Alcuni segmenti di clientela dei FO ( e non solo i Millennials) è orientata a cercare uno scopo sociale negli Molte startup vogliono cambiare il mondo e pertanto i FO investiranno anche in base all’opportunità di cambiare il mondo.
  7. Competenza – I gestori di FO sono allo stesso tempo furbi e intelligenti se investono in startup stanno in realtà assumendo per loro e per i loro clienti talenti straordinari.

*CIO di Albacore Wealth Management

Aumentare il peso dei grandi patrimoni negli investimenti in P/E

di Roberto Tronci *

Pochi giorni fa si è svolta a Milano l’assemblea annuale dell’ AIFI. Fra i tanti dati emersi da notare quello sulla raccolta e sui disinvestimenti anche se  gli investimenti sono stati in calo per il private equity e il venture capital italiani nel 2017.  I ritorni lordi sono stati di tutto rispetto, in media del 12,5%, al di sopra della media decennale del 10%. Dai dati AIFI viene fuori inoltre  che i fondi hanno lavorato soprattutto su deal di dimensione medio piccola.

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Nel 2017 sono stati raccolti 5,03 miliardi di euro fra fondi di private equity e venture capital, in netta crescita dagli 1,3 miliardi del 2016 ma questa raccolta si deve per la maggior parte al closing di alcuni grandi soggetti istituzionali come F2i SGR, QuattroR sgr e Fondo Italiano d’Investimento SGR, che da soli hanno raccolto 4,11 miliardi. La raccolta privata ha segnato un calo del 29% a 920 milioni dai poco meno 1,3 miliardi del 2016. Il tutto con investitori soprattutto italiani (72%) e con gli stranieri che si fermano al 28%.

In ogni caso l’investimento in capitale di rischio di società italiane non quotate paga ancora bene secondo Kpmg infatti l’ Irr lordo è stato del 12,5%, anche se sotto il 14,5% del 2016 e sotto il picco al 19,7% del 2014. Possiamo confermare anche dal nostro punto di vista: storicamente Albacore Wealth Management ha sempre avuto nei suoi investimenti rendimenti a due cifre.

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I possessori di grandi patrimoni (investitori individuali e Family Office) hanno contato per il 27% nei fondi investiti da soggetti privati nel 2017 e Fabio Innocenzi presidente dell’Associazione Italiana Private Banking sostiene che è ancora basso il peso dei prodotti finanziari alternativi nei portafogli private .

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Per favorire un maggiore investimento di operatori di Wealth Management e Private Banking secondo Innocenzi  sarebbe importante l’abbassamento della soglia minima di accesso per permettere la giusta diversificazione degli investimenti e prevedere una categoria di investitori Private intermedia tra investitore retail o professionale. Il tutto ovviamente nel pieno rispetto dei requisiti di tutela posti da MiFID2 favorendo pertanto  la scelta da parte del cliente di voler cogliere le opportunità offerte da prodotti meno liquidi.

Da notare infine  che i disinvestimenti sono stati più facili negli ultimi tempi: nel 2016 il valore dei disinvestimenti (calcolato al costo di acquisto delle partecipazioni) si è attestato a 3,752 miliardi di euro per 202 operazioni, il valore più alto di sempre, con un numero di write-off, cioè di svalutazioni parziali o totali, ai minimi storici, pari al 6% del totale.

 

*CIO  Albacore Wealth Management

 

 

 

Albacore disinveste da AerNova

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Oggi nelle pagine economia de Il Corriere della Sera  Albacore Wealth Management ha comunicato,  per conto della sua clientela privata, il disinvestimento relativo alla partecipazione in  Aernova, società spagnola di componentistica aeronautica. L’investimento era stato effettuato nel primo trimestre 2014 al fianco di Springwater Capital  che ne aveva acquisito il 47%.

Nel giugno 2017 Springwater ha ceduto la sua quota al private equity statunitense Tower Brook sulla base di una valorizzazione di Aernova di circa un miliardo di euro, concretizzando per i suoi investitori un MOIC (multiplo sul capitale investito) pari 10.49X netto di fees e costi.

Sempre a fianco di Manilo Marocco (Springwater), nel 2011 Albacore per conto dei suoi clienti ha investito nell’acquisizione della maggioranza di Viscolube Spa, società italiana leader nella rigenerazione oli industriali usati. Nel 2016, con la cessione di tale partecipazione, gli investitori avevano beneficiato di un MOIC di 2.93X netto di fees e costi.

Springwater Capital è una investment firm fondata nel 2002 che opera trasformando in successi opportunità di investimento complesse e perseguendo sia la creazione di valore che le relazioni di lunga durata con i coinvestitori partners. Opera investendo in medie aziende con fatturati dai 25 ai 750 milioni di euro.

Aernova è una società spagnola di componentistica aeronautica specializzata nella manifattura di ali, impennaggi e parti di fusoliera i cui principali clienti sono Airbus, Bombardier edc Embraer.Ha visto il proprio fatturato passare dai 653 milioni di euro del 2014 (anno di investimento di Springwater) ai 974,3 del 2017.

La scelta di Blackrock

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di Roberto Tronci*

Qualche giorno fa è stato annunciato  che Blackrock  ha in programma di  lanciare un fondo da 10 miliardi di dollari   dedicato agli investimenti di lungo periodo in aziende non quotate. Tutto ciò per diventare un azionista di più lungo periodo, oltre i 10 anni.

A prima vista, potrebbe sembrare incongruente dato che l’asset manager statunitense che è noto per le sue strategie di mercato liquide passive, a basso costo, passi all’estremo opposto.

Tuttavia Blackrock già gestisce asset per oltre $ 145 billion  compresi fondi di private equity e fondi hedge, credito privato e attività reali.

In Italia ad esempio il gigante USA è azionista da tempo di UniCredit ma anche di società non quotate come Linkem (connettività Internet) nelle quali vede un gran potenziale avendola valutata circa 700 milioni di euro oppure ha sottoscritto bond di società di nicchia come SIT La Precisa spa, gruppo padovano leader mondiale nella produzione di valvole di sicurezza per i bruciatori a gas e di sistemi integrati per caldaie e cappe. La decisione di Blackrock ha stupito i più, ma nella realtà il colosso dell’asset management Usa non sta facendo altro che istituzionalizzare  una pratica sinora condotta su base opportunistica e non strutturata in un fondo specifico.

Gli investimenti con un ottica di lungo periodo  diventeranno sempre più attraenti. La raccolta di fondi può essere onerosa ma, in ultima analisi, serve all’industria come un efficiente processo di selezione e allocazione di capitale. Tuttavia, man mano che le industrie maturano e diventano più globali gli investitori richiedono diverse scelte strategiche. Nel mercato ultra-competitivo, gli investimenti di lungo periodo nelle  aziende diventano sempre più preziosi non solo nel fornire liquidità per il prosieguo dell’attività ma anche per consentire alle imprese di investire dim più,  entrare in nuovi mercati e sfruttare le nuove tecnologie. Dal lato di un wealth manager come noi gli investimenti di lungo periodo nelle  aziende oltre che accompagnarle nella crescita consentono alle nostre famiglie clienti che vi investono di far raccogliere i frutti  anche ai discendenti. Il nostro track record di investimenti diretti in azienda, in fondi di PE o in fondi di fondi di PE è a due cifre.

*CIO e Partner di Albacore Wealth Managament

Il Wealth Management alla prova dei mutamenti socio-economici

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Di Francesco Fabiani *

Per molte nuove generazioni basti pensare ai Millennials il fatto di usufruire di una banca unicamente per conservare e gestire i propri soldi ma anche per le operazioni di consulenza fiscale diventa difficile in un’epoca di profondi mutamenti socio economici. Crescono le disuguaglianze fra classi sociali, aumentano i tagli alla spesa pubblica e  crescono le preoccupazioni sul futuro del pianeta . I clienti facoltosi e le famiglie imprenditoriali consapevoli di tutto questo, sono alla ricerca di strutture consulenziali che, in maniera circolare,  possano assisterli nel gestire il loro patrimonio  tenendo ovviamente conto dei rapidi mutamenti di scenario. Ecco perché credo che i dirigenti delle società di gestione patrimoniale non abbiano altra scelta se non quella di reinventare il proprio business rendendolo socialmente in sintonia con la società di oggi. Penso che, ben presto,  il modello di valutazione del rischio e del rendimento per i clienti si evolverà materialmente aggiungendo una terza componente: l’impatto. Un esempio fra i tanti è quello di BNP Paribas Wealth Management, che ha impiegato più di 10 miliardi di euro dei propri clienti in investimenti responsabili.

Una ricerca della Harvard Business School dimostra come le aziende focalizzate sulla sostenibilità e sulla crescita traggano beneficio da minori sprechi, forza lavoro più diversificata e maggiore soddisfazione, fidelizzazione e produttività dei dipendenti, il che si traduce in prestazioni e rendimenti migliori per azionisti e investitori. Le generazioni più giovani stanno guidando il rapido aumento della domanda di prodotti e servizi che consentono di far lavorare la propria ricchezza in modo responsabile, credo che il nostro mestiere sia quello di interpretare i loro desideri aggiornando il nostro approccio professionale.

*CEO Albacore Wealth Management

La digital trasformation e la consulenza patrimoniale

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I Tech Giants hanno acquisito le capacità necessarie per riordinare molte industries globali in ecosistemi allargandone  i confini e, soprattutto, rendendoli indefiniti. Lo hanno fatto nell’ecommerce, nel delivery, nel travel ed ora si accingono a farlo nei servizi finanziari. E opinione comune che la trasformazione del mercato dei pagamenti (storicamente una delle maggiori fonti di reddito delle banche) contribuirà insieme ad altre pressioni competitive ed al ruolo dei regolatori alle fusioni fra più operatori bancari. Anche la consulenza patrimoniale sia in ambito retail che in quello HNWI è sotto attacco dai tech giants e dalle applicazioni dell’ intelligenza artificiale (Robo advisory in primis).

Facebook ad esempio , offre già agli utenti la possibilità di effettuare pagamenti e, secondo alcuni, potrebbe ospitare nella sua piattaforma i consulenti finanziari  in un futuro non troppo lontano ma è tra l’ascesa del Robo-adisory  unita alle  mutevoli abitudini dei Millennial che rappresenta uno dei presupposti importanti che possono rendere Facebook uno dei principali attori della consulenza finanziaria.

Infatti, poiché milioni di  Millennials già utilizzano la piattaforma il dislocamento dei consulenti tradizionali sulla piattatforma stessa non è un compito insormontabile. Inoltre, l’ investimento di Facebook in nuove tecnologie come la realtà virtuale potrebbe alla fine rivoluzionare molti aspetti del percorso di consulenza finanziaria per i clienti: dal modo di parlare con il  consulente al modo lo stesso in cui il cliente diventa maggiormente consapevole  sulla gestione del proprio patrimonio sviluppando delle skills specifiche con le quali il  gestore patrimoniale si deve confrontare.

Amazon ha stretto una partnership con UBS per avviare un nuovo servizio chiamato “Ask UBS”. La tecnologia consente ai clienti di porre domande relative ai dispositivi compatibili con Alexa, l’assistente vocale di Amazon. “Che cos’è l’inflazione?” “Come sta andando l’economia?” Tutto ciò non fa che aumentare la competenza finanziaria del cliente e migliorare la sua esperienza d’uso dei servizi finanziari e aiuta la banca ad interagire con una nuova generazione di clienti di gestione patrimoniale fornendo, ovviamente, ad Amazon nuove informazioni.

E mentre alcuni dubitano che i Millennials si fidino effettivamente di Facebook altri citano burocrazia e regolamentazione pesante come barriera all’ingresso contro le imprese tecnologiche. In quest’ultimo caso occorre dire però che le aziemde tec nologiche hanno spesso ridefinito le regole del gioco. Basti pensare ad Uber.