P/E e Venture Capital fanno crescere di più le aziende rispetto al benchmark

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Il Private Equity aiuta la crescita delle aziende e, anzi sono le aziende partecipate dai P/E e Venture Capital quelle che continuano a crescere di più. A  dirlo è lo studio di PwC e Aifi  che ha analizzato 500 disinvestimenti dei fondi (216 di venture capital e 284 di buy-out) condotti dai fondi tra il 2007 e il 2017.

Lo studio analizza i dati di bilancio dell’ultimo anno di permanenza delle aziende nel portafoglio dei fondi, confrontati con i dati di bilancio dell’anno precedente l’ingresso dei fondi stessi, ovviamente vengono eliminate dal campione le aziende fallite o quelle che hanno subito processi di ristrutturazione. I ricavi delle società in portafoglio ai fondi private equity nel 2017 sono saliti del 5,2%, contro il 3,3% del gruppo di aziende benchmark, rappresentato dalle 2075 società italiane incluse nella survey annuale di Mediobanca  .

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L’aumento dei ricavi si traduce in un aumento dell’occupazione, cresciuta del 4,7% (29 mila nuovi posti di lavoro), mentre nel caso del benchmark l’occupazione è invece scesa dello 0,1%, in linea con l’andamento del Pil nazionale che, nell’ultimo decennio, è salito mediamente dello 0,7% all’anno.

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Nell’arco di 10 anni, tra il 2007 e il 2017, le società partecipate da fondi di venture capital hanno visto crescere i ricavi del 7,1% contro il 2% delle aziende benchmark (era stato +8,7% contro +2,7% nel periodo 2006-2016). L’ EBITDA delle partecipate dai VC è salito a sua volta del 5,6% contro un calo dello 0,5% per il benchmark (era stato +4,3% contro -0,3% nel 2006-2016).

Secondo l’indagine annuale di Aifi che trovate a questo link di BeBeez  il 2018 è stato un anno d’oro per Private Equity e Venture Capital in Italia, dove gli investimenti hanno toccato il massimo storico di 9,78 miliardi di euro, un valore quasi doppio rispetto ai 4,93 miliardi investiti nel 2017.

Sul fronte del venture capital, gli investimenti di tipo early stage hanno segnato un vero e proprio balzo, salendo a 324 milioni di euro spalmati su 110 società dai 133 milioni e 99 società del 2017.

La digital transformation al servizio del Wealth Management

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La spinta normativa della MIFID 2 e del GDPR ricopre un ruolo importante nella trasformazione digitale del wealth management e, anche se arriva dal regolatore, è comunque una opportunità per tutti gli operatori del settore. La necessità di adempiere agli obblighi normativi unitamente ad una corretta strategia digital permette di ottenere informazioni utili per arrivare a conoscere al meglio le esigenze del cliente e poterlo servire dandogli il valore aggiunto di cui ha bisogno.

Il vantaggio portato dalla digital transformation consente di migliorare la conoscenza del cliente ma soprattutto di rendere più efficiente la gestione delle attività operative del Wealth Manager. Ma se per digital transformation intendiamo il Robo Advisory e la creazione di portafogli automatizzati questa non è sicuramente una strategia applicabile dai wealth manager che vedono la relazione personale col cliente un aspetto fondamentale della professione. Le soluzioni di Digital Wealth Management ( Qui potete vedere le ultime tendenze) sono primariamente a disposizione del professionista e lo aiutano a costruire e sviluppare una relazione col cliente.  In tutto questo si inserisce la questione dei  Big Data che nel rapporto col cliente è un po’ più delicata alla luce del GDPR, i Big Data sono utili per analizzare meglio i comportamenti del cliente,  le caratteristiche e le esigenze ma  quando si entra nel rapporto diretto, faccia a faccia, è necessaria molta sensibilità nell’utilizzarli e giustificare il loro utilizzo come aumento del valore aggiunto nella consulenza.

I Big Data aiutano anche nel contatto con i prospect ma alla base di tutto è fondamentale avere un buon CRM, un valido sistema supportato da soluzioni tecnologiche per gestire in modo efficace la relazione coi clienti, attuali e prospettici. Si tratta, in sintesi, di declinare in un ottica wealth le esperienze del retail. L’uso della tecnologia nel Wealth Management consiste soprattutto nell’avvio del processo di automation di specifiche fasi della prestazione del servizio di Wealth Management, parliamo di strategie di open banking attraverso l’acquisizione di servizi in outsourcing da soggetti terzi, come le software house o partnership con imprese FinTech mentre è meno sviluppato un approccio di sola innovazione interna.

Una nuova partnership per Alvarium

casey-horner-546529-unsplashAlvarium Investments, il multifamily office che recentemente ha stipulato una partnership con Albacore Wealth Management ha acquisito Iskander , multifamily office con sede a Parigi. Iskander è solo l’ultima di una serie di operazioni che hanno visto Alvarium acquisire quote di altri multifamily office in tutto il mondo aggiungendo alle sue masse in gestione oltre un miliardo di euro di AUM.  Recentemente, infatti, sono state acquisite partecipazioni nella londinese Casteel Capital  e in due società di gestione con sede in Nuova Zelanda. Alvarium ha acquisito inoltre insieme al gruppo Peterson di Hong Kong ed a Dilmun, Family Office di base a New York e legato alla famiglia reale del Qatar, quattro hotel a Londra per un controvalore pari ad oltre un miliardo di sterline.

La crescita del numero dei clienti  ha richiesto un sforzo strategico significativo per Alvarium che ha scelto di essere presente in più mercati offrendo ai propri clienti un maggiore range di opportunità di investimento coniugando la  presenza globale con una grossa expertise negli investimenti in immobili, Private Equity e altre attività illiquide. Attualmente Alvarium gestisce assets per oltre 15 miliardi di euro ed è alla ricerca di opportunità nel settore tecnologico.Per questo scopo, poche settimane fa, ha acquisito una partecipazione in Lepe Partners merchant bank attiva nel settore della tecnologia.

Alvarium Investments si allea con Lepe Partners

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Alvarium Investments, partner di Albacore, offrirà l’accesso ad una piattaforma di merchant banking per gli UHNWI che desiderano investire in Media e tecnologia

La scorsa settimana Alvarium Investments, fra i maggiori operatori nel Wealth Management a livello globale e nostro recente partner ha finalizzato una partnership con  Lepe Partners , merchant bank indipendente focalizzata sul settore Consumer, Media e tecnologia fondata dal banker di TMT investment e co-fondatore del Founders Forum (rete globale di imprenditori digitali e tecnologici), Jonathan Goodwin. Unendo le esperienze di Ken Costa, CEO di Alvarium Investments  e Jonathan Goodwin, questa partnership consentirà agli investitori (ovviamente anche a quelli clienti di Albacore) l’accesso a settori in rapida crescita : Media Internet e tech europei da tempo sottoposti a importanti processi di disruption.

Il settore europeo dei Media, internet e tecnologia continua a registrare forti tassi di crescita, con deal per oltre 350 miliardi di sterline (460 miliardi di dollari) completati negli ultimi tre anni. l’Europa rappresenta un terreno sempre più fertile per i futuri leader della tecnologia globale. L’aumento del numero di exit nel mondo della tecnologia ha anche creato una domanda ampia di dealmakers con conoscenza approfondita dell’economia  digitale.

Dal 2014, l’Europa ha avuto più IPO tecnologiche degli agli Stati Uniti, e più del doppio nel 2016 e nel 2017 (fonte: LSE). L’accordo con Lepe Partners consente a Alvarium Investments  di creare una piattaforma di merchant banking per molte generazioni di UHNWI  compresa quella dei millennials sempre più influente e destinata a controllare 18 trilioni ($ 24 trillions) di attività entro il 2020. I Millennials sono una categoria di persone che, con i propri investimenti, vuole cambiare il mondo e desiderano sempre maggiore trasparenza, controllo e cercano opportunità di collaborare e co-investire con i gestori patrimoniali in un’ampia gamma di settori in rapida crescita come i media digitali e la tecnologia.

Private Equity: la resilienza del mercato italiano

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di Roberto Tronci *

Secondo i dati dell’ultimo Italian Private Equity Survey Confidence di Deloitte, il Confidence Index, elaborato dalla società di revisione per definire la sfiducia degli investitori esteri sull’Italia è ai livelli del 2013 cioè 80, rispetto ai 114 punti dello scorso anno mentre il 60% dei private equity intervistati (il doppio dell’anno precedente) prevede un peggioramento del contesto macroeconomico. Molti, del resto, osservano che è molto probabile che il 2019 sarà un anno difficile per l’industria in generale, certamente a livello europeo ma anche a livello più globale. La stessa Germania soffrirà e, di certo, l’Italia non sarà da meno, ma per chi investe nel nostro Paese  l’Italia sembra essere diventata più resiliente e  meno soggetta agli scossoni provenienti dall’esterno.

La metà dei player del settore intervistati da Deloitte si aspetta un numero di operazioni pressoché stabile – seppur in calo rispetto all’anno scorso – a 40-45 deal e molti si aspettano una crescita delle exit tramite vendita sul mercato con IRR attesi tra il 15% e il 25% legati principalmente alle attese positive sull’incremento dell EBITDA. Anche riguardo alle nuove opportunità d’investimento, la maggior parte degli operatori (59,5%) si aspetta un livello di competizione nel mercato del private equity stabile.

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Si nota anche un approccio più sofisticato da parte dei fondi, quindi anche più a lungo termine, anche perché la dimensione media delle operazioni attesa è più piccola”. La maggioranza dei fondi, il 51,3% degli intervistati,  dichiara di avere investimenti in portafoglio con un fatturato medio fino a 50 milioni di euro e riguardo alle aspettative sulle dimensioni medie degli investimenti attesi, il 62,8% degli operatori ha aspettative di sostanziale stabilità, mentre il 37,2%, meno del 2017, dei rispondenti si attende un aumento delle dimensioni medie. In linea con questi risultati, le attese degli operatori per il prossimo semestre mostrano in prevalenza (51,1%) un interesse verso i deal con valore fino a 30 milioni. Tuttavia, è atteso un calo degli investimenti tra i 31 e i 100 milioni, che passano dal 44,4% al 39,6%, mentre gli investimenti superiori ai 100 milioni aumentano di 6,5 punti percentuali.

I dati del secondo semestre 2018

Durante la seconda metà dello scorso anno, Deloitte ha censito 75 operazioni condotte dagli operatori del PE in Italia per un controvalore complessivo (considerando i deal con valori undisclosed) pari a circa 10,6 miliardi.  Sia il numero di transazioni, sia il valore complessivo delle stesse si osserva in aumento rispetto al semestre precedente.

Tra le operazioni che hanno generato il maggior deal value nello scorso semestre ci sono senz’altro la cessione da parte di Blackstone della partecipazione in Gianni Versace a Michael Kors, l’acquisizione di RTR Rete Rinnovabile e EF Solare Italia   da parte del fondo italiano F2i e quella di Megadyne da parte del fondo Svizzero Partners Group.

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Il settore che ha visto gli operatori Private Equity maggiormente coinvolti nel secondo semestre 2018 è stato quello dei Prodotti e Servizi Industriali, seguito dal Consumer Business e dal Settore Chimico mentre calano le operazioni nei settori manifatturiero, altri servizi.

*CIO di Albacore Wealth Management

 

Se i Family Office investono ancora di più in P/E

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di Roberto Tronci *

Secondo un sondaggio svolto in occasione dell IPEM  di Cannes, la conference sulla private capital industry, il 55% degli intervistati teme una correzione economica importante nel 2019, la  Brexit e le sue conseguenze, il protezionismo  e le guerre commerciali.  Per quanto riguarda le fonti di raccolta dei finanziamenti  il 58% degli intervistati si aspetta che i family office e gli high net worth individuals (HNWI) incrementeranno i loro investimenti in P/E mentre il 44% degli intervistati si aspetta che le banche li ridurranno. In particolare, questo trend è atteso più marcato in tema di fondi di buyout, nei quali il 63% degli intervistati ritiene che i family office investiranno di più, con il 50% degli intervistati che ritiene che le banche vi investiranno di meno. Anche il venture capital attrarrà di più i family office e meno le banche quest’anno, secondo il sondaggio.

I gestori dei fondi ritengono, comunque che, nel 2019, ci saranno buone opportunità per gestire e migliorare le performance delle società in portafoglio (83% degli intervistati) e che il 2019 dovrebbe anche essere una buona annata per i disinvestimenti (73%). Non solo, il 2019 dovrebbe anche essere un buon anno per raccogliere nuovi fondi (65%), con l’eccezione dei fondi con sede in Regno Unito, che causa Brexit vedono un contesto meno promettente per la raccolta di fondi rispetto ai loro colleghi continentali. Il sondaggio è scaricabile a questo link.

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In ogni caso, però, soltanto il 50% dei gestori di fondi europei prevede di raccogliere più capitali rispetto all’ultimo fondo. Infine il 2019 è considerato anche un buon anno per fare nuovi investimenti (65%) e il 61% degli intervistati prevede di investire di più rispetto al 2018. Da segnalare che i gestori dei fondi più piccoli e  cioé quelli sino a 100 milioni di euro, sembrano essere più ottimisti dei loro colleghi. In particolare il 69% dei piccoli gestori ritiene che lo scenario per il business resterà buono quest’anno o sarà addirittura migliore dell’anno scorso, il 70% di loro pensa che il 2019 sarà un buon anno per fare deal e il 27% di loro si aspetta di raccogliere molto più capitale per i propri fondi di quanto fatto con i fondi precedenti.

Nel segmento buyout, i settori considerati più attraenti per gli investimenti sono i servizi business, il farmaceutico il sanitario e l’ICT, mentre per il venture capital i settori più promettenti sono considerati l’intelligenza artificiale, il medtech e il software.

*CIO Albacore Wealth Management

Il capitalismo familiare cresce in Italia (ma con pochi piani di successione)

guillermo-sanchez-630049-unsplashIl 60% delle famiglie imprenditoriali italiane ha dichiarato di non avere un piano di successione e di trasmissione degli asset a fronte di una media globale pari al 44% . E’ questo uno dei risultati della Global Family Business Survey  2018 di PwC che in Italia è stata svolta attraverso interviste a 113 famiglie imprenditoriali. In Italia  la presenza dei membri delle nuove generazioni nei business familiari è superiore a quella registrata in altri paesi: l’81% dei membri delle nuove generazioni italiane segue le orme dei genitori operando nelle imprese familiari in diversi ruoli di responsabilità, rispetto al 65% della media globale: in particolare, il 43% degli italiani siede nei CdA rispetto al 37% della media, il 52% opera nella direzione aziendale rispetto al 43% della media.

Per quanto riguarda la gestione dei conflitti ed il passaggio generazionale, il 63% dei rispondenti italiani dichiara di avere in essere politiche e procedure per gestirlo mentre la media dei paesi intervistati è pari all’84%. La Penisola è distanziata dagli altri paesi per quanto riguarda i patti tra soci (30% in Italia a fronte di una media globale del 56%), i patti di famiglia (12% in Italia a fronte di una media del 27%), i consigli di famiglia (21% in Italia a fronte del 32%), i meccanismi per la soluzione dei conflitti (15% in Italia a fronte del 30% a livello internazionale). I conflitti in famiglia secondo  il 62% del campione italiano vengono gestiti all’interno della famiglia (63% nella media globale), ma solo nel 37% dei casi questi sono discussi apertamente (a fronte del 54% della media), mentre solo nel 5% dei casi vengono utilizzati servizi di figure professionali per comporre i conflitti (rispetto alla media del 14%). Nel caso dei conflitti noi di Albacore qualche tempo fa abbiamo ospitato un seminario sul family mentoring con  Diana Chambers   qui sotto un articolo de  Il Sole 24 Ore sull’evento.

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Le famiglie imprenditoriali italiane sono orientate alla crescita internazionale e al successo nel business più che ad una gestione professionalizzata della successione. Il 69% degli intervistati ha dichiarato di aver realizzato una crescita rispetto all’anno precedente e i  dati italiani sulla crescita registrati quest’anno della GFBS 2018 risultano peraltro in linea con quelli rilevati a livello mondiale, con una crescita solo di poco meno impetuosa da parte delle imprese familiari italiane (il 30% ha indicato di aver maturato una crescita rispetto all’ultimo anno a due cifre, contro il 34% della media globale).

 

 

I tre trend del Wealth Management nel 2019

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L’avanzare delle tecnologie legate alla robotica ed all’intelligenza artificiale e le aspettative dei clienti che si aspettano una customer experience simile a quella dei canali fisici e digitali ci porta a individuare tre tendenze per il Wealth Management nel 2019

1)L’ecosistema della gestione patrimoniale

Il digitale abilita la creazione  di  ecosistemi completi e cioè  di luoghi di interazione e commercio in cui contenuti e servizi si uniscono. Un ecosistema di gestione patrimoniale mette rapidamente insieme le capacità di gestione patrimoniale con una piattaforma per connettere in modo coerente le varie anime del mercato: istituzioni finanziarie, sponsor, gestori patrimoniali, consulenti e custodians. Tutto ciò sarà vitale per un settore che cerca di andare oltre i metodi tradizionali di acquisizione della clientela.

2)L’approccio olistico e personalizzato

Per rimanere innovativi, i Wealth Manager devono tenere il passo con le esigenze dei clienti che sono finanziariamente esperti e cercano lo stesso tipo di customer experience di cui fruiscono nei canali di vendita al dettaglio e di intrattenimento. Si aspettano, pertanto, tool e value proposition digitali accessibili e facili da usare che diano loro una visione completa dei loro investimenti e delle loro finanze, oltre a modi convenienti per gestire e spostare denaro nel perseguimento dei loro obiettivi. I Wealth Manager dovranno andare oltre il concetto di attività e passività finanziarie aprendo con i clienti dialoghi più profondi su aspirazioni e obiettivi che includono la salute personale, il tempo libero, la pianificazione immobiliare e l’assistenza a lungo termine ed il family mentoring. Tutto questo è direttamente correlato alla necessità per i Wealth Manager di rendere  il loro modello operativo più vicino a quello di  un life coach. Che si tratti di una pianificazione finanziaria olistica o di un aiuto per la cura dei genitori anziani, di pagare l’istruzione ai figli o trovare il modo ottimale per riequilibrare un portafoglio, una visione a 360 gradi può aiutare a coinvolgere una base di investitori sempre più diversificata.

3)L’Intelligenza Artificiale

C’è molta attesa su ciò che l’intelligenza artificiale (AI) e la robotica possono fare nelle gestione dei patrimoni e nella customer experience offrendo un’esperienza migliore agli investitori. Questi progressi cambieranno il modo in cui il denaro viene gestito e il come vengono offerti i consigli di investimento. La robotica, utilizzando algoritmi intelligenti, può automatizzare le attività di gestione patrimoniale ripetitive, laboriose e soggette a errori umani. Pertanto si libererà tempo che sarà poi messo a disposizione di una maggiore interazione dei i clienti con la loro pianificazione e rendicontazione finanziaria. Insieme, queste tecnologie, produrranno enormi aumenti di produttività ed efficienza. Robotica e AI miglioreranno l’accuratezza e ridurranno i costi e per i Wealth managers  i progressi nell’apprendimento automatico e nell’ intelligenza artificiale creeranno anche opportunità per espandere le relazioni con i clienti e creare fiducia. Le maggiori banche utilizzano già il machine learning abilitato dalla voce per offrire suggerimenti personalizzati per i clienti per migliorare le loro finanze. In futuro, l’intelligenza artificiale ha il potenziale per trasformare completamente il modo in cui interagiamo con i sistemi che governano la gestione patrimoniale.